Il consolato di Draghi, ai politici il reddito di sopravvivenza

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Consolato Draghi – Per il governo dei migliori sarà per un’altra volta. Troppi ministri politici, troppi reduci del governo uscente. Pur di liberarci da questa politica e da questi politici, eravamo disposti a subire un governo di tecnici purché eccellenti, con tutti i rischi che comporta. E invece per ogni tecnico abbiamo due politici al governo. Sono solo otto: non m’indigno per le donne, ma per i tecnici. Un ministro su tre. Ai politici è stato riconosciuto il reddito di sopravvivenza.

Certo, la differenza la fa Draghi al posto di Conte, enorme; e non mancano ministri di qualità soprattutto in economia, il Recovery found lo gestirà con loro. Ma è serio agli occhi del mondo un governo con Di Maio ancora agli Esteri, è un governo dei migliori con Lamorgese ancora all’Interno, è un governo dei competenti con Speranza ancora alla Salute? Sul rigore dei tecnici e il criterio della discontinuità ha prevalso il pappone all’italiana. Draghi, auspice Mattarella, si è infilato nel ginepraio dei partiti, doveva starne fuori, volare alto; rischierà di non uscirne vivo. Il problema per noi non è che “non ci sono sovranisti” nel governo; non li volevamo in questo governo di compromesso, volevamo solo i tecnici per gestire un periodo di sospensione della politica.

Abbiamo trascorso un anno tra la farsa e la tragedia, tra il circo e l’ospedale. Ora speravamo di fermarci nel mezzo, nel tempo della serietà e della credibilità. E invece siamo alla miscela, alla mescolanza. Non tanto tra destra e sinistra, ma tra qualità e roba scadente.

Ma distanziamoci dalla quotidianità e guardiamo con occhio storico. Da una vita difendiamo il primato della politica contro la supremazia della tecnica e della finanza, col concorso esterno della magistratura. La difendemmo ai tempi di Maastricht e delle privatizzazioni, della guerra a Craxi, dei primi governi tecnici, poi al tempo del Berlusconi massacrato. E ancor più lo facemmo con l’arrivo di Monti al governo e la sospensione della democrazia perché l’Italia non aveva votato secondo le prescrizioni del potere, interno e internazionale.

Ma nella situazione in cui siamo precipitati tra pandemia, catastrofe e ricostruzione, non ci restava che chiedere un periodo di sospensione della politica. E dunque la scelta di Draghi, prima che l’annunciasse Mattarella e la lanciasse Renzi, ci era parsa la più logica e inevitabile, visto che non c’erano le condizioni per andare al voto. Il suo arrivo ci ha liberati a metà da un governo cialtrone. Stavolta i trasformisti sono di contorno e di supporto, non comandano. Meno male.

Resta tuttavia la sconfitta della politica pur col premio di consolazione; la perdita del suo primato per manifesta incapacità di intendere, volere e saper governare. La serietà di Draghi è fuori discussione come la sua sobrietà, ma le inquietudini sul suo governo nascente ci sono tutte. Noi non siamo cambiati e nemmeno Draghi, sir Drake, è mutato. Occhio.

Sono successe due cose nel mondo e non solo in Italia, strettamente collegate, a cui non è estranea la pandemia: il tramonto del populismo e la restaurazione globalista. L’evento più clamoroso è stato la sconfitta – controversa e piena di ombre – di Donald Trump. Da noi c’è stato in primis lo spettacolare fallimento-tradimento del populismo grillino che si è rimangiato tutto: prima alleati coi leghisti, poi con la sinistra, poi ha ceduto all’Europa, ha votato Ursula con sinistra e popolari, è rimasta al governo con Renzi e grazie a Renzi, ha ossequiato il Quirinale prima detestato, si è alleata con Berlusconi, infine si è sottomessa a Draghi e ai tecnici. Se sono arrivati a dire che Draghi è un grillino diranno che gli autogrill di Benetton si chiamano così perché grillini.

Dall’altro versante, è da registrare lo scollamento del fronte sovranista e il riposizionamento della Lega; non è un triplo salto mortale come per i 5Stelle, ma una grossa capriola. L’ultima foglia per abbindolare il popolo grillino è quella ecologica. In fondo, all’establishment le “grete” di turno e i verdi governativi non dispiacciono affatto, sono funzionali a convertire il dissenso in energia combustibile per la conservazione degli assetti di potere.

Lo scenario non è più quello di un anno fa. È cambiato. Ma quando la politica si riduce di suo a questa robetta, incapace di rifondarsi, di darsi un piano, una cultura, una strategia e una classe dirigente, con un ceto politico fatto in larga parte di scarti di magazzino, dove il meno peggio sono i difensori del popolo e del sentire comune, allora succede una cosa antica.

Il potere politico cede al potere consolare, come nell’antica Roma; la politica che teneva banco dovrà ora limitarsi da un verso al sottogoverno e dall’altro a rappresentare gli umori popolari e le sue istanze attraverso una magistratura antica e parallela rispetto al governo consolare: i tribuni della plebe. La politica si sdoppia, si biforca: il Console Draghi investito dal Senato terrà le redini dell’Italia e risponderà all’Impero euroglobale; e i tribuni della plebe rappresenteranno la volontà popolare come pubblica opinione interna, ma non come governo della nazione.

Con Draghi “non arrivano i nostri”, tutt’altro; è finita solo in parte una rovinosa mascherata. Si può accettare la sospensione della politica solo se è eccezionale, come le cause che l’hanno prodotta; se è a tempo definito, se serve a risanare e riassestare il quadro deteriorato e ripristinare la serietà, la competenza e la meritocrazia. Dopodiché la parola, tramite le urne e il popolo sovrano, ripassa alla politica. Con questo spirito vigile e disincantato entriamo con circospezione nella dragosfera, ibridata al teatrino politico. Ave Consul Draco, console della finanza e consolatore dei partiti.

MV, La Verità 14 febbraio 2021

 

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