Radical-chic e ignoranti-pop

radical-chic

Mezzo secolo fa furono avvistati in Italia i primi radical-chic, espressione coniata a New York da Tom Wolfe. Conoscevamo già il loro antenato, lo snob di cui sparlava Panfilo Gentile, notando che snob sta per sine nobilitate, finto nobile che si atteggia a tale. Oltre che supponenti, i radical chic e gli snob diventano detestabili quando si fanno intolleranti verso chi non appartiene alla loro razza.

Ma non ci piace per nulla neanche il loro rovescio, gli ignorantoni pop. Ovvero chi disprezza tutto ciò che odora d’arte, pensiero, cultura e lettura, spara giudizi sprezzanti quanto dementi in rete senza capire, senza sapere; odia il mondo ed erutta e scoreggia contro l’universo e ogni grandezza nel nome della libertà e dei diritti. Chi soffre d’invidia egualitaria vuol far patire chi sta meglio di loro e far loro confiscare quel che hanno meritato e conquistato. Fanno valere la loro ignoranza enciclopedica come un diritto e una virtù. A volte è gente anche di destra, anche se di solito l’homunculus-tipo è al di sotto della destra e della sinistra. Non saprei dire quale sia peggio tra i radical-chic e i cafonal-pop. O meglio, saprei: i peggiori sono quelli che fanno ricadere sul prossimo la loro spocchia o la loro ignoranza.

C’è un nesso tra le due categorie, e non solo perché l’una funge da alibi dell’altra. Il nesso risale al ’68 che tenne a battesimo da una parte i radical chic, i borghesi che amano i proletari “ma a casa loro”, distanti dai loro salotti, i figli di papà con la puzza sotto il naso che contestavano il mondo nel nome dei dannati della terra; i borghesi da corteo e da salotto, col cuore a sinistra e il portafogli a destra. Ma dall’altro verso il ’68 decretò il diritto di tutti ad avere tutto e a giudicare tutto, indipendentemente da meriti, titoli e qualità; e stabilì il valore rivoluzionario, costituente, dell’ignoranza, fino a elevarla a virtù.

Confesso il disagio, che è poi il disappunto di una vita, di trovarsi in mezzo ai due e subire l’ostracismo dei primi, l’incomprensione dei secondi e il disprezzo di ambedue. È triste dover combattere due avversari, uno potente e l’altro numeroso; uno forte di detenere il codice del tempo, l’altro forte di parlare e vomitare col favore delle masse. Tom Wolfe visse probabilmente un disagio simile, trattandosi di un’intelligenza libera e di un uomo elegante in un mondo d’intellettuali cialtroni e allineati e di volgarità diffusa e rampante. Capite poi il conseguente, speciale disagio di vivere ora nell’epoca in cui gli uni detengono l’egemonia culturale e gli altri conquistano la maggioranza politica?

Noi ci troviamo in quel punto di passaggio. Preferivo i comunisti operai e proletari di poca cultura e di grande integrità, preferivo gli analfabeti di una volta, timorati di Dio e di chi sa più di loro. Preferivo quelli che conoscevano il valore della cultura ottenuta coi sacrifici, e la rispettavano. E preferivo i borghesi d’una volta, conservatori dalle buone maniere, rispettosi della cultura anche se non colti, che non avevano magari il senso dell’onore ma almeno quello del decoro e della decenza. Rimpiango sopra tutti le vere aristocrazie che sono autorevoli senza essere sprezzanti e il popolo genuino che ha buon senso e insieme senso del limite.

Poi, per carità, il mondo è sempre stato abitato da una maggioranza schiacciante di ignoranti e da minoranze che abusano dei privilegi. A volte ti verrebbe voglia di alzare il ponte levatoio e limitare i contatti col prossimo agli stretti conoscenti, ai grandi del passato e al mondo in natura, arte e bellezza, disabitato dalle masse. Scostanti ma con garbo. Gentilmente senza strappi al motore, per cantarla con Lucio Battisti.

 

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