Euro Giorgia, oltre Fini e Almirante. Perché la destra è uno stato d’animo

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Il miracolo di Giorgia Meloni, incoronata reginetta dei conservatori europei. Un miracolo che nasce dalle urne, dalla tv, dalle piazze d’Italia. Non era successo a Giorgio Almirante, nemmeno nella stagione trionfale della Destra nazionale nel 1972, lui che veniva da lontano e le piazze davvero le riempiva e le accendeva. Non era successo a Gianfranco Fini, che pure era al governo con Alleanza Nazionale, e che in tv aveva dato perfino l’impressione di essere un leader e non solo uno speaker.

Ma la Meloni si accinge per la prima volta nella storia della nostra repubblica a far superare alla destra, la destra-destra, quella che si definisce tale, nazionale e sociale, la destra confessa, insomma – la barriera del suono del sedici per cento. Dopo aver superato Forza Italia e di fatto anche i 5Stelle in caduta libera, Fratelli d’Italia insidia il Pd e brucia venti punti distacco da Salvini, ponendosi ora a nove lunghezze dalla Lega.

Dieci punti in più in un anno per la Meloni, dieci punti in meno per Salvini: la somma fa venti, il divario si accorcia. Naturalmente la prova del fuoco saranno le elezioni politiche, dove il consenso potenziale e periferico si fa reale e cruciale.

Raffaele Fitto

Ora la nomina di Giorgia a leader del gruppo conservatore nel Parlamento europeo la consacra in un ruolo significativo, che persino il Corriere della sera ha glorificato ieri in prima pagina. Un gruppo conservatore articolato, dalla Polonia alla Spagna, con rapporti atlantici ed extraeuropei rilevanti con i partiti conservatori al governo. E con Raffaele Fitto che non è profeta in patria, cioè in Puglia, ma è pure lui ai vertici del eurogruppo conservatore, pur svuotato con la fuoruscita dei conservatori britannici dopo la Brexit.

Il centro-destra in Europa è accasato in tre famiglie diverse, i popolari con Berlusconi (ma c’è anche Orban), i sovranisti con Salvini (ma c’è pure la Le Pen) e i conservatori, ora guidati dalla Meloni. Non è un male che siano alloggiati in tre diversi raggruppamenti, hanno più carte da giocare e più interlocutori.

Ma al di là della consacrazione europea, prima donna italiana leader di un gruppo europeo, la Meloni è in crescita politico-elettorale costante. Grandi risultati, merito a mio parere di due fattori: il primo, assoluto, è l’efficacia di Giorgia come leader, la sua linearità, la sua coerenza, la sua maggior tenuta politica dentro e fuori del centro-destra, il suo essere donna ma come si dice “cazzuta”. Il secondo, sommerso, è il rifugio degli elettori in un’identità politica storicamente solida benché controversa, venuta da una storia, in un paesaggio di parvenu e mutanti, trasformisti e nullivendoli.

Maurizio Gasparri

Naturalmente quella forte identità è per taluni il limite di Fratelli d’Italia, la soglia che non consentì a Fini e difficilmente consentirà al partito della Meloni di diventare partito di maggioranza nel Paese. Ma quando gli schemi saltano, dopo l’irruzione grillina e le alleanze liquide, tutto diventa possibile. Con la Meloni si è ricompattato non solo l’elettorato ma anche il vertice di Alleanza Nazionale, decapitato dal suicidio assistito di Fini. Dei colonnelli di An è rimasto fuori solo Maurizio Gasparri, che prosegue – va detto, con coerenza – in Forza Italia.

Tutti gli altri sono ormai con la Meloni. La diaspora a destra, tra destre sociali, fiamme sparse, futuristi e libertari, è praticamente riassorbita; la casa-figlia è diventata casa-madre. Restano fuori da FdI solo microorganismi destrorsi che trovano sponsor d’occasione; più alcune forze “extraparlamentari” ma non ostili alla Meloni e i suoi Fratelli.

Guido Crosetto

Già, i Fratelli: il problema del partito della Meloni è che la Sorella d’Italia è figlia unica. Non mancano quattro o cinque figure emergenti nel suo partito, e piace in giro il ruolo anfibio del liberale di destra Guido Crosetto, che un tempo portava in braccio Giorgia nel format il Gigante e la Bambina.

Ma per un partito così cresciuto, così lanciato, scarsa è la sua classe dirigente, scarsi i canali di accesso e di selezione, scarsa la sua capacità di intercettare e candidare figure venute da altri mondi e dalla mitica “società civile”. E soprattutto è introvabile “il mondo della destra”. Come si esprime un cittadino di destra, oltre lo sfogatoio dei social; in cosa si riconosce, dove si riflette il suo modo di pensare?

Dove trova i suoi ambiti di riferimento, dove ritrova il suo mondo, nella società, nella cultura, nell’economia, nel volontariato, nelle associazioni, chi intravede di amico nella pubblica amministrazione, tra le figure pubbliche, nella fiction e nella vita quotidiana? Dico questo perché la malridotta sinistra non avrà un leader ma solo un fratello di fiction (altro che fratello d’Italia), vale a dire il commissario Montalbano; non avrà una linea politica credibile, avrà un alleato imbarazzante e un premier comprato usato su e-Bay, ma un mondo vasto ce l’ha e ha ramificazioni nei poteri diffusi e nella casta dirigente del Paese.

La destra è uno stato d’animo

Invece il cittadino che la pensa come la Meloni non ha riferimenti di alcun tipo, se non le opinioni della Meloni. Il discorso naturalmente vale per l’intero centro-destra, in gradi e livelli diversi e per ragioni differenti. Non vogliamo toccare qui il tema dell’inadeguatezza dei suoi leader per governare il paese, o la difficile commutabilità di efficaci tribuni della plebe e del consenso in premier e governanti.

La destra è uno stato d’animo, un modo di sentire, a volte un modo di pensare, comunque una mentalità; ma a volerla poi trasferire in un discorso pubblico è solo Giorgia Meloni e a intermittenza i suoi alleati. Intanto l’astuto Paolo Mieli ha suggerito un tranello per toglierseli di mezzo: perché la Meloni e Salvini non si candidano a sindaci di Roma e di Milano? Istigazione al suicidio, un consiglio da XXVI canto dell’Inferno, ottava bolgia, girone dei consiglieri fraudolenti…

MV, La Verità

 

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