Astensione attiva: perché il referendum dell’8-9 giugno va fermato col silenzio delle urne
L’8 e 9 giugno gli italiani saranno chiamati alle urne per esprimersi su cinque quesiti referendari abrogativi
Ma a differenza di quanto si vuol far credere, partecipare al voto per dire “NO” non basta a fermarli: in un referendum abrogativo, infatti, l’unico modo per bocciare davvero una proposta è non raggiungere il quorum del 50% + 1 degli aventi diritto.
Per questo motivo, astenersi non è un gesto di disinteresse, ma un atto politico vero e proprio, che assume oggi un significato ancora più forte di qualsiasi voto contrario.
Chi vuole fermare questi quesiti – sbagliati nella forma e pericolosi nei contenuti – non deve recarsi alle urne. Il quorum è il loro unico alleato: non regaliamoglielo
Cinque quesiti, cinque buone ragioni per dire NO con l’astensione
Quesito 1 – La riassunzione forzata
Il primo quesito propone di reintrodurre la possibilità per il giudice di ordinare la reintegrazione nel posto di lavoro per chi è stato licenziato, anche nelle aziende private. Ma la giusta causa è già garantita dalle leggi attuali: nessuno può essere licenziato senza motivo.
Costringere un’azienda a riprendere un lavoratore già allontanato , magari dopo mesi o anni di battaglie legali ,mina la serenità dell’ambiente di lavoro e la produttività dell’impresa. Chi è valido trova nuove opportunità. Tornare dove si è stati cacciati non è segno di diritti, ma di assenza di alternative.
Quesito 2 – Risarcimenti illimitati per licenziamenti nelle microimprese
Attualmente, nelle imprese con meno di 15 dipendenti, i risarcimenti per licenziamento illegittimo sono soggetti a un tetto massimo, proprio per evitare che un errore giudiziario o una valutazione sproporzionata possa mandare a fondo un’intera attività.
Eliminare questo limite significherebbe rischiare il fallimento per centinaia di piccole aziende, con il paradosso che al posto di tutelare un lavoratore, se ne metterebbero a casa altri 10 o 15. È una bomba sociale sotto l’economia reale
Quesito 3 – Fine dei contratti a termine
Il quesito propone di abrogare ampie parti della normativa che regola i contratti a tempo determinato
Ma nel mercato del lavoro attuale, questi contratti sono spesso l’unico canale per giovani e neolaureati per accedere a un’occupazione, mettersi alla prova, dimostrare valore e fare esperienza. Togliere questa flessibilità significa che le aziende assumeranno meno e solo chi è già garantito, chi ha “referenze sicure”, chi è già dentro un giro. Un disastro per chi oggi è fuori.
Quesito 4 – Responsabilità solidale negli appalti
Il quarto quesito vuole reintrodurre la responsabilità del committente anche per infortuni dei lavoratori di ditte appaltatrici o subappaltatrici. Ma un’impresa non può essere responsabile di come opera un’azienda terza, soprattutto quando non ha potere di intervento diretto sui protocolli di sicurezza. Il risultato? Le aziende che oggi affidano lavori a ditte esterne ridurranno drasticamente gli appalti, con la conseguenza di meno cantieri, meno lavori, meno occupazione.
Quesito 5 – Cittadinanza facile
È il quesito più ideologico e strumentale. Si propone di accorciare i tempi per ottenere la cittadinanza italiana da 10 a 5 anni, senza alcun rafforzamento dei requisiti di integrazione, merito o legalità. Ma oggi, uno straniero ha già accesso a scuola, sanità, servizi e welfare, spesso in misura anche superiore a quella degli italiani.
Con l’attuale situazione sociale e i problemi legati all’immigrazione incontrollata, la cittadinanza non può diventare un diritto automatico, ma deve rimanere un traguardo, ottenuto con un percorso serio, verificabile, fondato sul rispetto delle regole e sulla volontà di contribuire.
Serve rigore, non scorciatoie
Un referendum che non c’entra niente con il salario minimo
Molti vorrebbero far passare questo referendum come una battaglia per i diritti e i salari. Ma non c’è traccia di salario minimo tra i quesiti. E vale la pena ricordare che chi oggi lo invoca ha avuto il potere per anni e non lo ha mai introdotto. Dal 2011 al 2022, i governi a guida PD, 5 Stelle e sinistra hanno avuto Palazzo Chigi, il Ministero del Lavoro e i sindacati dalla loro parte. Eppure nulla è stato fatto. Oggi, gli stessi firmatari di contratti da 5 euro all’ora scioperano per il salario minimo: una grande ipocrisia politica.
Il buonsenso ha già dato risultati: non fermiamoci ora
Con i dati occupazionali migliori dal 2007, l’Italia non ha bisogno di regole ideologiche, ma di stabilità, di lavoro vero, di responsabilità. Questi quesiti minano il fragile equilibrio raggiunto, ignorano la realtà produttiva, danneggiano chi lavora e chi offre lavoro.
Per questo motivo, l’unico vero NO è non andare a votare
Falliamo il quorum. Fermiamo questi quesiti.
L’8 e 9 giugno: TUTTI AL MARE
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