La stroncatura di M il nuovo “mattone” di Scurati. Chessa: “trasuda di vomito”

scurati

«Pulp», molto pulp. Trasuda di vomito e sangue l’incipit costruito da Antonio Scurati per far tornare in scena M. «L’alito è pesante, il dolore addominale opprimente, il vomito è verdognolo, striato di sangue. Il suo sangue». Così si legge nelle prime righe del secondo volume intitolato all’«Uomo della Provvidenza».

Seguendo il filo rosso del «suo sangue» M2 mette al centro il corpo mistico del Duce che si fa corpo mitico, materia biologica che trasfigura in spirito, prototipo dell’Italiano nuovo, mito primario della rivoluzione fascista.

Con questo secondo mattone, Scurati ci vuole spiegare che se la storia è romanzesca. Il successo del primo tomo, tradotto in più di quaranta lingue, non solo cambia la prospettiva del lettore ma anche dello scrittore. Come è naturale Scurati deve molto a De Felice e agli studi defeliciani, ma al contrario dello storico che ha fatto della biografia di Mussolini l’algoritmo della storiografia del fascismo, lo scrittore invece è costretto a restringere la prospettiva restringendo il fascismo alla vita del Duce.

LA SCENA

Scurati sa farci respirare l’aria del tempo. Nella scena della malattia sentiamo l’aria mefitica, fra eruttazioni e flatulenze, della «dimora» di Mussolini, allora in via Rasella, con una narrazione realistica dai toni forti, colori vivi e pungenti odori. Il romanzo ricalca dalla biografia storica l’episodio cruciale della misteriosa malattia (forse sifilide?) che da metà febbraio del 1925 costrinse Mussolini a scomparire dalla scena pubblica per un intero mese. Il mormorio pubblico propaga la notizia che sia già morto. I medici diagnosticano una grave ulcera duodenale.

Gli ultimi mesi sono stati un inferno: l’opposizione al governo si rifiuta di partecipare alla vita politica rifugiandosi in un metaforico Aventino, dopo l’assassinio di Giacomo Matteotti. Mussolini non si sente al riparo. Scurati è bravo nel farci credere che sia proprio il fantasma di Matteotti a ulcerare il duodeno del Duce.

Si vocifera di complotti. La dittatura è ancora imperfetta, e se è difficile difendersi dal fuoco nemico, che spera sia già morto, è il timore del fuoco amico che preoccupa l’insonne Mussolini. Scurati sa raccontare Mussolini nella sua contemporaneità. Cerca di entrare sottopelle alle storie. Non possiamo fargliene una colpa quindi.

SALUTISTA

Ma è giusto sottolineare che anche se Mussolini non lo sa, e quindi anche Scurati fa finta di non saperlo, in realtà non è malato. Ne è convinto Georg Zachariae, il medico tedesco che Hitler, intransigente salutista, gli ha piazzato a fianco nei tristi giorni di Salò, che lo cura con la dieta.

Lo confermerà l’autopsia che nel 1945 trova nelle viscere del duce defunto niente più che una piccola cicatrice. Mussolini era ed è sempre stato sano come un pesce. Interpretando la malattia di ieri con il senno di oggi, una malattia reale vissuta drammaticamente, ci sembra corrisponda a una classica colite spastica. Come aveva previsto l’opposizione aventiniana, se non fosse morto, non c’era altro che sperare nella Provvidenza. Provvidenza è la parola chiave che Scurati ha scritto sulla copertina come sottotitolo: «L’uomo della Provvidenza».

Sarà proprio il Papa, il più adatto a parlarne, ad attribuire a Mussolini quel ruolo messianico che mal si concilia con suo passato anticlericale, ma bene si adatta invece alla prospettiva mistica della fascistizzazione totalitaria degli italiani. Con la firma dei Patti Lateranensi che chiudono la «Questione romana» rimasta aperta dalla Breccia di Porta Pia, Mussolini si fregia dell’attributo di «Uomo della Provvidenza», riuscendo a includere la Chiesa di Pio XI, preoccupato di salvaguardare l’autonomia dei cattolici, nel processo di totale fascistizzazione del Paese.

Perdere il filo della storia seguendo troppo il filo delle storielle

Nella periodizzazione canonica, stabilita con la sua autorità dalla biografia di Renzo De Felice, i Patti Lateranensi funzionano da spartiacque: ché proprio nel 1929 cominciano gli Anni del Consenso. Scurati invece arriva stancamente fino al 1932, spezzando una consolidata periodizzazione storiografica.

Una prospettiva che sembra fargli perdere il filo della storia seguendo troppo il filo delle storielle, dalla accusa di pedofilia che determina la fine di Augusto Turati, segretario del Pnf, erede in pectore del Duce, alla morte dell’amante del famigerato capo della polizia, l’inventore dell’Ovra Arturo Bocchini, dissanguata in salotto, dopo un aborto artigianale. Si perde così anche il filo delle storie.

Per fare un esempio, e non si tratta di un banale pettegolezzo, un semplice cambio della guardia nell’ alcova del Duce, ma di un passaggio storico cruciale: Scurati dimentica che un bel giorno del 1932 Margherita Sarfatti, l’ intellettuale che gli ha insegnato la politica e insieme a lui ha inventato il fascismo, viene esclusa dalla frequentazione di Palazzo Venezia, in perfetta coincidenza con il primo incontro con la nuova musa e prima amante in carica, Clara Petacci. («A suivre», a seguire come nei romanzi d’ appendice, il seguito alla prossima puntata).

Pasquale Chessa per “il Messaggero”

 

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