Spiagge vuote, ombrelloni chiusi. La crisi del turismo balneare è culturale

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Spiagge vuote, ombrelloni chiusi. La crisi del turismo balneare è culturale

Questa estate, vi è da più parti un grido di allarme. Il turismo balneare italiano risulta in crisi.

Le spiagge sono meno affollate, gli stabilimenti lamentano un calo drastico delle presenze, le famiglie tagliano sulle vacanze o scelgono mete alternative, spesso all’estero

Sia che di tratti di Tirreno e Adriatico, di Isole o litorali della nostra penisola il risultato è identico. E le prenotazioni pure ad agosto languono. Eppure, continuare a spiegare tutto con il solito ritornello dei rincari o del maltempo è semplicemente miope.

Siamo di fronte a una crisi culturale profonda, a un cambio radicale del modo in cui le nuove generazioni concepiscono il viaggio, il tempo libero e il rapporto con il mare.

La verità è che il modello italiano di turismo balneare è vecchio, fermo agli anni ’80, se non addirittura agli anni ’60

Stabilimenti che sembrano repliche uno dell’altro, concessioni sempre agli stessi, prezzi alle stelle, e pochissimo spazio alla libertà. Le spiagge libere sono poche, sporche, senza servizi. Mentre nel resto d’Europa, dalla Grecia al Portogallo, il mare è vissuto come un bene comune, con accessi semplici, gratuiti e strutture leggere e diffuse, in Italia si è ancorati ad un concetto che pare superato.

I giovani oggi non vogliono più le “vacanze stanziali”

Non vogliono restare due settimane e oltre sotto lo stesso ombrellone, con orari fissi e prezzi assurdi. Vogliono viaggiare, scoprire, cambiare ogni giorno. Vogliono esperienze, non abbonamenti.

E molti di loro scelgono mete all’estero dove il mare si vive in libertà, senza il peso dei regolamenti che vietano ogni movimenti per non disturbare l’ombrellone accanto.

In Italia, invece, siamo ancora fermi a un sistema bloccato, incatenato a interessi corporativi e alla lentezza della macchina pubblica. In molti territori la gestione delle concessioni balneari è opaca, rigida, e incapace di aprirsi al nuovo

Nessuna innovazione all’orizzonte, uniche attività sguazzare fra le onde, rotolare sotto il sole e giocare a burraco. Non come le spiagge di Barceloneta, dove si può giocare a calcio, correre, fare ginnastica.

Non come in Grecia liberi di camminare e rilassarsi, senza l’ingresso ai bagni. Non come nei calanchi provenzali, liberi di mettere due pali e una rete e giocare liberamente a beach volley.

Tutto gratis

E’ pur vero che il turismo balneare non è solo economia. È parte della nostra storia, del nostro stile di vita, del nostro essere italiani. L’Italia ha il mare più bello del mondo, ma lo stiamo regalando ad altri. Perché? Perché manca una visione moderna capace di coniugare qualità e accessibilità, servizi e libertà.
Serve un cambio di passo.

Serve il coraggio di liberalizzare, investire e ripensare a come attrarre le nuove generazioni al mare italiano

Chi vuole aprire un chiosco, offrire sport d’acqua, creare una nuova forma di accoglienza deve essere messo in condizione di farlo. Chi gestisce una spiaggia libera in modo intelligente e pulito deve essere premiato, non ostacolato. Meno burocrazia, più libertà, più innovazione. Il mare italiano può tornare a essere attrattivo, ma solo se sapremo rinnovarlo senza snaturarlo.

Con pragmatismo, visione e orgoglio

La crisi quindi non è solo nei numeri. È nella mentalità. O decidiamo di cambiare, o continueremo a guardare le nostre spiagge svuotarsi, mentre i nostri giovani vanno altrove dove si può vivere il mare con meno vincoli e più libertà, e meno costi.

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