Referendum 2025: il silenzio degli elettori, la fine di certe illusioni
C’è una lezione che i promotori dei referendum del 2025 farebbero bene a imparare in fretta: il Paese reale non è il Paese delle narrazioni ideologiche. I dati parlano chiaro e – come spesso accade – non lasciano molto spazio alle interpretazioni: tutti e cinque i quesiti referendari sono stati bocciati, ma il modo in cui lo sono stati è forse ancora più significativo del risultato formale.
Cinque quesiti, cinque silenzi il non voto è espressione di non condivisione
Dei cinque referendum proposti – tutti legati a diritti sociali, lavoro, cittadinanza e tutele – nessuno ha raggiunto il quorum. Ma a colpire è la dimensione profonda del distacco tra il Paese legale e il Paese reale. L’affluenza nazionale si è fermata al 30,6%, con punte del 39,1% solo in Toscana. Dati lontani anni luce dal 50%+1 necessario per la validità.
E se il mancato raggiungimento del quorum era già ampiamente previsto, la distribuzione dei voti espressi dice molto su quali temi non scaldano più il cuore (né la mente) degli elettori e i risultati hanno dato dei risultati inaspettati.
Cittadinanza, il flop che pesa alla sinistra progressista, doveva essere l’ ariete il quesito simbolo e trainante ed è stato quello che inaspettatamente per gli organizzatori ha avuto il risultato più deludente. Infatti, tra tutti, il quesito che puntava a ridurre da 10 a 5 gli anni necessari per ottenere la cittadinanza frequentando la scuola in Italia (il cosiddetto “Ius Scholae”) ha registrato il minimo storico di consenso reale:
Solo il 62,1% dei votanti ha espresso un Sì
Ma con l’affluenza così bassa, il totale degli elettori che ha detto Sì è appena il 19,0% degli aventi diritto
In Toscana, regione “pilota” dell’Italia progressista, il dato sale a 25,9%, ma resta largamente minoritario
Questo significa che più di tre quarti degli italiani con diritto di voto non hanno appoggiato attivamente la proposta. Un dato che scardina la retorica secondo cui la cittadinanza automatica sarebbe un tema trasversale, sentito, condiviso. Non è così. Nemmeno a sinistra.
La realtà è che il concetto di cittadinanza come “diritto da guadagnare” resiste, anche in settori dell’elettorato che si definiscono progressisti. Non a caso, anche il nuovo premier laburista britannico Keir Starmer, fresco di vittoria, ha annunciato la volontà di aumentare gli anni necessari per ottenere la cittadinanza, avvertendo che “rischiamo di diventare un’isola di stranieri”.
Frase impensabile per un politico italiano, che sarebbe stato immediatamente accusato di razzismo. Eppure oggi è pronunciata da un leader progressista, e fa parte di un nuovo realismo europeo.
I quesiti sul lavoro: una battaglia ideologica senza popolo
Gli altri quattro quesiti, legati a tutele sul lavoro e responsabilità negli appalti, hanno ottenuto una maggiore percentuale di Sì tra i votanti (oltre l’85%), ma con una partecipazione troppo bassa per cambiare qualcosa.
Vediamo i dati reali, calcolati in percentuale sugli aventi diritto:
Quesito Tema % Sì su aventi diritto
1 Reintegro sul lavoro in caso di licenziamento illegittimo 26,9 %
2 Indennità equa per licenziamento senza giusta causa 26,4 %
3 Abolizione tutele crescenti nei contratti a termine 26,8 %
4 Estensione della responsabilità negli infortuni da appalto 26,5 %
5 Cittadinanza (Ius Scholae) 19,0 %
In Toscana, tutti si sono attestati su un massimo del 33,2%. Anche in quella che dovrebbe essere la roccaforte della mobilitazione sociale e della partecipazione, i numeri non arrivano nemmeno a un terzo dell’elettorato
Il dato più importante? Queste percentuali non sono il frutto della “mancata informazione” o della “poca visibilità”. Sono il sintomo evidente di un calo verticale di interesse per una battaglia ideologica che la maggioranza del Paese non sente più sua.
La crisi del progressismo automatico
Quello che emerge è un fallimento di contenuto, non solo di comunicazione. Il “nuovo progressismo” che immaginava di rilanciare la sua agenda attraverso questi referendum si ritrova a fare i conti con una verità politica scomoda: i cittadini non si riconoscono più in parole d’ordine astratte, né si lasciano mobilitare da vecchie ricette che non intercettano la complessità del presente.
L’Italia del 2025 non è semplicemente apatica. È selettiva, disillusa, e – forse – più concreta di chi la rappresenta.
Una sinistra in cerca di popolo
È ormai evidente che per riconnettersi con gli italiani, la sinistra dovrà abbandonare la comfort zone dell’identitarismo progressista e tornare a parlare di sicurezza, comunità, appartenenza.
Temi scomodi, certo, ma ormai imprescindibili
Non basta avere “ragione moralmente”. Serve avere senso nella realtà concreta delle persone.
E quel senso, stavolta, il referendum non l’ha trovato.
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