Coronavirus – adda passà a nuttata

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Coronavirus – adda passà a nuttata. Mentre là fuori divampa ancora la battaglia, febbrile, invisibile, e tremenda, la mente cerca inesorabilmente di evadere dallo strazio quotidiano delle notizie alla televisione.

Fuggire dalle notizie della disperazione, dei talk-show che riempiono i palinsesti televisivi, di un rincorrersi di opinioni e di analisi che nascondono una dura realtà: siamo in guerra contro un nemico invisibile, e che nessuno sa ancora come poter sconfiggere.
È in questo contesto perverso che la psiche corre alla ricerca di uno spiraglio, a dei pensieri che, forse superflui per il momento storico che stiamo vivendo, potranno permetterci di dire che da questa tragedia abbiamo imparato qualcosa.

Abbiamo imparato che le mille polemiche politiche scaturite nel recente passato (20 o più anni, ndr), sono il Nulla.

Conte, Renzi, Salvini e le frecciate scoccate in reciproci attacchi, sono il Nulla. Le divisioni interne al nostro Paese, le antipatie materialistiche, la tensione-sociale-reciproca di ceti sempre meno delineate, sono il Nulla. Un continuo processo di integrazione Europea, ed un’architettura istituzionale tesa a creare sempre maggiore inter-dipendenza fra gli Stati, si sono rivelate essere il Nulla.

Uniti in una tragedia che ha un carnefice invisibile, in grado di mimetizzarsi in una goccia di sudore, una lacrima, od in uno degli invisibili ‘droplets’ che ogni essere umano inevitabilmente proietta. Cerchiamo di trarne degli spunti per un domani migliore, consapevoli che il mondo del domani non sarà mai come quello che ci siamo lasciati alle spalle quel maledetto giorno di febbraio, quando abbiamo appreso che il Coronavirus era già entrato in casa.

Partiamo dal concetto di identità. Il patriottismo, in Italia, è sempre stato un tabù che ci siamo portati dietro dalla fine della Seconda guerra mondiale, complice un mai razionalizzato epilogo a quella che fu una guerra civile (’43-’45), e che non si è potuto nemmeno ammettere fino a quando il celebre Giampaolo Pansa lo sdoganò con merito e coraggio; era il 2003.

Oggi, a differenza di ieri, abbiamo tutti riscoperto l’orgoglio nell’ Inno di Mameli, nel Tricolore alle finestre, nella fierezza di essere Italiani. Siamo stati i primi (in occidente) a venire investiti da questa deflagrazione, i primi, per abnegazione, ad erigerci come pionieri alla guida di un Europa che ci guarda per capire come gestire questa emergenza inedita.

Abbiamo riscoperto un sistema sanitario pubblico non più fanalino di coda, ma anzi, una struttura fatta di eroi che lo Stato ci garantisce (a differenza del toro americano) quale diritto inalienabile. Nel dopo-Coronavirus, speriamo, capiremo che la sanità è uno dei pilastri del nostro Stato. Senza questo esercito di camici (talvolta sacchi della spazzatura, in assenza di presidi di protezione..), questa guerra l’avremmo già persa.

L’economia capitalista si trova ad un bivio.

Dopo anni di deriva finanziaria (mai ripresasi dalla crisi del 2008-2011), e dalla quale dovrà scaturire un nuovo senso di responsabilità; con una minore delegittimazione dello Stato sovrano, a fronte degli interessi mercantilisti, come ribatte da anni l’ottimo Diego Fusaro.

Viviamo in un mondo che è il prodotto putrefatto dell’abominio Reganiano, e che stiamo pagando a caro prezzo in questa tragedia mondiale.

Inoltre, come già accennato, l’interdipendenza europea si è mostrato per quella che è: una farsa che va contro i principi dei padri fondatori. Dinnanzi alla minaccia imminente abbiamo assistito a confini sbarrati, mascherine regolarmente acquistate e bloccate in dogana, Paesi vicini (es. Olanda) poco propensi a concederci il diritto di spendere i soldi nostri per salvare la pellaccia. Vomitevole.

Vorrà dire che, almeno in certi ambiti economici e di logistica socio-sanitaria, sarà bene che il mondo del domani ritorni ad una sana autarchia: nazionalizzando imprese e costituendo aree di indotto per la fabbricazione di presidi medici a prezzi calmierati, al costo di forgiarle a suon di debito pubblico, ed al fine di non doverci mai più trovare a contrattare con pseudo-mafiosi in giro per le dogane di mezzo mondo pronti a scipparci le protezioni per i nostri camici in trincea.

Mai più impreparati.

Tuttavia, le note (e sorprese) positive sono tante. Per un UE che ci ha dimenticati, abbiamo trovato Paesi amici là dove nessuno avrebbe mai pensato. Gli aiuti inviati (e non scontati) da Paesi come la Cina (prima vittima del Virus), la Russia (a cui noi come UE imponiamo sanzioni economiche) ed addirittura Cuba , sono accorse in aiuto quando eravamo già in ginocchio, in un momento di necessità, in uno sforzo comune che ci ha visto alleati come fratelli, esseri umani.

Vittime di un nemico che ci aggredisce come specie, e non per la nostra nazionalità.

Chi vi scrive spera che questa terribile esperienza possa non essere dimenticata.

Forse un giorno, magari davanti al Palazzo Lombardia, o alla Fiera di Milano, verrà intitolato un luogo, una piazza, un monumento, o un istituto diplomatico che celebri queste nostre ‘nuove’ amicizie che, nell’ora più buia, ci hanno raggiunto con una luce di speranza; che insieme ci accompagnerà in questo incubo generazionale.

Le macerie saranno ingenti, ma dobbiamo ricavarne quei mattoni che ci serviranno per ricostruire il nostro mondo. Anche se diverso, purché sia migliore.

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