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Milano, donna accoltellata in pieno centro, un segnale allarmante che non vogliamo vedere

di Stefania Scarpati
5 Novembre 2025
In Attualità
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LUCCA
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Milano, donna accoltellata in pieno centro, un segnale allarmante che non vogliamo vedere

Un incubo avvenuto in una mattina di inizio Novembre, in pieno centro a Milano, piazza Gae Aulenti, una donna di 43 anni viene aggredita alle spalle e accoltellata mentre si reca al lavoro.

È viva per miracolo

L’uomo che l’ha colpita, 59 anni, non la conosceva, e non c’era alcun movente, solo rabbia sociale, spia di un malessere preoccupante. Ha agito, ha detto, “a caso”.

Una follia lucida, forse, o il gesto di una mente malata che la società aveva perso di vista.

L’aggressore, infatti, era già stato condannato nel 2016 per un episodio analogo. Riconosciuto semi infermo di mente, aveva trascorso anni tra carcere, strutture psichiatriche e periodi di libertà vigilata. Poi, il nulla.

Nessun percorso reale di reinserimento, nessuna presa in carico costante

Solo una vita sospesa, come molte altre, ai margini di un sistema che non sa più dove collocare chi è disturbato o semplicemente “scomodo”.
Un sistema che non vede o non vuole vedere.

La scena dell’aggressione ha una forza simbolica enorme, la Milano scintillante dei grattacieli, delle banche e dei centri direzionali, si è trasformata in un teatro dove è andato in scena un odio irrazionale.

Sotto il vetro e l’acciaio, la città convive con un disagio sommerso che nessuno vuole vedere, fatto di persone instabili e pericolose

I manicomi sono stati chiusi, ma le alternative non sono mai state pienamente costruite. Le strutture pubbliche di salute mentale faticano, i posti letto sono pochi, gli operatori scarsi e spesso precari. Esistono liste d’attesa anche per chi sta male e, troppo spesso, chi “non è abbastanza pericoloso” resta fuori da ogni schema.

Fino al giorno in cui lo diventa

C’è una forma di ipocrisia collettiva in tutto questo.

Non vogliamo vedere che esistono persone mentalmente instabili e, in alcuni casi, potenzialmente pericolose.

Preferiamo immaginare che tutto possa essere gestito con la libertà, la fiducia e con il rispetto dei diritti individuali, ma esistono anche i diritti collettivi, quello alla sicurezza, alla prevenzione, alla cura.

Non possiamo continuare a ignorare che ci sono situazioni in cui l’intervento terapeutico anche forzato, monitorato, garantito, rispettoso, può e deve essere necessario

Oggi assistiamo a un paradosso, da un lato, la società non vuole “rinchiudere”, dall’altro, abbandona.

Chi subisce un trattamento psichiatrico troppo spesso torna in strada, senza riferimenti. Così accade che un uomo, solo, arrabbiato, instabile possa camminare per Milano con un coltello in una shopper e colpire a caso una donna, per colpire simbolicamente una città intera.

Viviamo in metropoli sempre più disuguali, dove la microcriminalità e il disagio sociale si confondono con la normalità quotidiana.

Tra immigrati clandestini, senza nulla da perdere, persone disoccupate e individui fragili senza sostegno, il tessuto delle nostre città si fa ogni giorno più teso e violento

Non è solo un problema di ordine pubblico, è un problema di civiltà.

La donna aggredita rappresenta tutti noi, la Milano che lavora, che corre, che crede nella sicurezza come valore comune.

L’uomo che l’ha colpita rappresenta invece quella parte di città che abbiamo deciso di non guardare, girandoci dall’altra parte, quella che abbiamo lasciato indietro.

Un’urgenza non più rimandabile

L’aggressione di Gae Aulenti non è un caso isolato. È un sintomo. E, come tutti i sintomi, ci dice che il corpo (sociale) è malato e va curato, di una cura non più procrastinabile.

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Tags: DONNEFEMMINICIDIOGIUSTIZIAIN EVIDENZAVIOLENZA
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