Luigi Einaudi: il padre della Repubblica

einaudi

Se ci fu una scelta politicamente azzeccata, sicuramente questa fu quella del grande economista Luigi Einaudi, quale Capo dello Stato.

Pregevole accademico ed economista di fama mondiale. Era un liberale convinto della necessità di creare uno stato forte. Ma guardava con attenzione all’autonomismo ed aveva un profondo rispetto per l’iniziativa privata.

Venne nominato senatore del regno in epoca prefascista. Impegnato politicamente, in difesa dello stato liberale, al tempo del governo legalitario di Benito Mussolini fu sicuramente simpatizzante della politica economica del ministro delle finanze Alberto de’ Stefani. Anche egli come lui un liberale che avrebbe finito col votare in favore dell’ordine del giorno Grandi oltre vent’anni dopo, contribuendo così a provocare la caduta di Benito Mussolini.

Non fu mai sodale al fascismo

Fu in aperto dissenso con la svolta autoritaria del governo Mussolini. In risposta alle tesi esposte nel Manifesto degli intellettuali fascisti di Giovanni Gentile, sottoscrisse il documento redatto da Benedetto Croce e noto come “Manifesto degli intellettuali antifascisti”.

Si dimise da tutte le collaborazioni editoriali, di cui la più importante era sicuramente il Corriere della Sera. Questo per protesta verso la censura della stampa che il regime andava sempre più portando avanti.

Perse importantissimi incarichi accademici venendo infine costretto a giurare fedeltà al fascismo al fine di non dover lasciare l’insegnamento definitivamente.

Continuò ad essere contrario al fascismo, restando uno dei pochissimi apertamente contrari anche alla guerra in Etiopia. Si dimostrò sin da subito oppositore tenace delle leggi razziali.

La Svizzera

Dopo l’otto settembre dovette riparare in Svizzera, continuando una vivace attività intellettuale.

Tornò ad occuparsi attivamente di politica e riprese slancio la sua carriera accademica, successivamente al 25 aprile. Venne nominato governatore della Banca d’Italia, entrando a far parte prima della consulta nazionale. Una sorta di organo legislativo provvisorio in attesa che si votasse per l’assemblea costituente ed in fine di quest’ultima.

La sua elezione a Presidente della Repubblica avvenne in buona parte per la volontà di parte della Democrazia Cristiana di non convergere sul candidato voluto dal Presidente del Consiglio De Gasperi. Che in quel momento iniziava a perdere il controllo del partito.

Einaudi fu eletto al posto del favorito Carlo Sforza, al tempo ministro degli esteri. La sua elezione fu sicuramente una delle scelte più centrate della storia repubblicana.

Anche lui, nella miglior tradizione dei liberali italiani era un sostenitore della monarchia. Ma il suo profondo rispetto per gli istituti democratici lo aveva portato ad accettare il mutamento istituzionale. Ed anzi a divenirne un severo custode.

Non accettava pressioni

Memorabile la sua lavata di capo ai presidenti dei gruppi democristiani di camera e senato, poiché aveva ricevuto pressioni dal partito per non nominare un ministro.

Il presidente ribadì fermamente che la costituzione non dà assolutamente ai partiti l’autorità per trattare questioni del genere direttamente con il Capo dello Stato. Questi debbono agire tramite i loro rappresentanti nelle istituzioni.

Fu il primo presidente a rinviare delle leggi alle camere. Un uomo di un’onestà specchiata, di grande rigore morale e proverbiale frugalità.

Quasi sacrale il suo rispetto del denaro dei contribuenti. Memorabile un aneddoto narrato da Ennio Flaiano, anni dopo sul Corriere della Sera. Fu ospite con altri a cena del presidente e si trovò davanti ad una scena inusuale e ad oggi quasi grottesca. Vedendo che tra i frutti serviti c’erano delle pere di grandi dimensioni, il presidente rivolgendosi ai commensali disse: “prenderei una pera, ma sono troppo grandi, c’è nessuno che ne vuole dividere una con me?”

Un grande economista, fautore della libera impresa che si sarebbe sentito in colpa persino a sprecare una mollica di pane pagata dai contribuenti.

Mi permetto di aggiungere un sincero: Presidente ci manchi.

 

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