La diplomazia in queste ore…..

Mentre va avanti l’offensiva di Israele nei confronti dell’organizzazione terroristica di Hamas nella Striscia di Gaza, torna a farsi sentire la politica e la diplomazia.

L’azione diplomatica degli USA

L’imprescindibile azione diplomatica che mira a circoscrivere il conflitto evitando che lo stesso si regionalizzi (o peggio!) passa per una forte pressione americana sugli stati arabi per interrompere il finanziamento e l’armamento di Hamas che, in qualità di organizzazione terroristica va necessariamente eradicata dalla Striscia di Gaza, per il bene di tutti, israeliani, palestinesi e comunità internazionale. Obiettivo raggiungibile non solo per via militare ma anche e soprattutto, per via politica, sotto, appunto, la pressione USA in Medioriente.

Giorgia Meloni: restituire autorità all’ANP

Nel frattempo, la timida Europa sta lavorando affinché torni centrale l’Autorità Nazionale Palestinese di Abu Mazen all’interno della Striscia di Gaza e non solo.
Come ha dichiarato anche Giorgia Meloni, prima del Consiglio dei 27, la strada della pace passa attraverso la restituzione di centralità all’ANP nella politica palestinese e la soluzione della relativa questione. Mentre infatti, in Cisgiordania Al Fatah, seppur a fatica, riesce a contenere l’estremismo terroristico-islamista, come ben sappiamo, nella Striscia, dal 2006 Hamas governa incontrollata, eliminando ogni possibile dissenso e schiacciando sotto il suo tallone la popolazione civile.

Hamas è il nemico per il popolo palestinese

Miliardi di finanziamenti ricevuti non sono serviti a innalzare il tenore di vita dei palestinesi, ma sono stati spesi in armamenti sempre più sofisticati, nella costruzione di tunnel sotterranei da cui sferrare attacchi verso lo Stato di Israele e – aggiungo – a consentire ai leader di vivere una vita di agi in Quatar.

.. e come tale va eradicata

Non vi è dubbio dunque che i primi nemici dei palestinesi siano i terroristi di Hamas. E poiché Hamas non vuole la pace, è inutile che tante anime candide sventolino bandiere arcobaleno che delineano nobili aspirazioni a danno esclusivamente di una parte. D’altro canto, pensare di eradicare l’organizzazione terroristica in questione solo mediante un’azione militare potrebbe essere altrettanto velleitario se non accompagnata da una azione politica incisiva. Azione cioè volta a isolare Hamas separandola dalla popolazione civile. Con buona pace del Prof. Orsini che delira sull’identità tra Hamas e i palestinesi (cosa che di fatto avallerebbe la guerra totale a Gaza), la realtà è molto più complessa e, seppur nell’urgenza del momento, occorre non farsi prendere dall’emotività politica ma mantenere quel filo di razionalità diplomatica che può evitare scenari ben peggiori degli attuali.

La difficile missione europea

IN questo quadro se l’UE fosse forte potrebbe giocare un ruolo essenziale. Molto più dell’ONU che ancora una volta offre occasioni di dimostrare faziosità e, al contempo, irrilevanza. L’UE con le sue istituzioni, pur tra le solite incertezze e titubanze, sta tentando di recitare quel ruolo essenziale di cui si diceva. Con un investimento ancora una volta sull’ANP unico contraltare “moderato” ai tagliagole. Potrà non piacere perché soprattutto negli ultimi decenni l’ANP non si è mostrata soggetto sempre affidabile e ha perso moltissimo peso politico interno. Ma, non c’è molta scelta. Come si suol dire, “il pane si fa, con la farina che si ha”.

l’ANP

Al momento Al Fatah è minoritaria, fiaccata politicamente da decenni di malaffare e corruzione. Come detto, riesce a mantenere il controllo della Cisgiordania, ma è del tutto ininfluente sulla Striscia. Anche perché nella sanguinosa guerra civile del 2006, Hamas ne ha ucciso i rappresentanti più significativi.

Riuscirà dunque Abu Mazen a uscire dall’angolo? O sarà necessaria una nuova classe dirigente palestinese moderata che abbia di mira esclusivamente la costruzione del benessere dei propri cittadini e sappia dunque porsi come credibile alternativa al terrore?

Coinvolgere i paesi arabi superando la (loro) ipocrisia

Naturalmente serve tempo (e tempo ce n’ poco!!) e, oltre alla mediazione occidentale serve un coinvolgimento importante dei paesi arabi. E questo potrebbe essere un problema non da poco, soprattutto in un’ottica di soluzione di lungo periodo. A dispetto infatti della strumentalizzazione che è stata costantemente fatta da parte dei leader arabi della questione palestinese, non vi è mai stata alcuna reale e concreta azione di supporto coerente con queste dichiarazioni. Nessun paese arabo ha mai inteso accogliere stabilmente i profughi palestinesi, ad esempio. Quando Libano e Giordania hanno tentato, hanno subito compreso che questo popolo era molto più ingestibile del previsto e lo hanno ricacciato altrove. Insomma, molto più semplice finanziare aiuti che poi venivano gestiti – sappiamo come – fra terrorismo e corruzione.

L’attacco di Hamas non c’entra con la questione palestinese, ma è frutto di un disegno più ampio

Eppure, ripetesi, nel delicato equilibrio di area mediorientale non si può prescindere dall’apporto di alcuni Stati arabi che già con gli accordi di Abramo avevano mostrato di voler definitivamente chiudere un capitolo drammatico della storia, normalizzando il rapporto con Israele.

Una certa credibilità – condivisa in toto da chi scrive – assume la tesi per la quale l’attacco del 7 Ottobre ben lungi dall’essere inquadrato nella “classica” questione palestinese, è invece una risposta dell’Iran alla normalizzazione dei rapporti tra Israele e alcuni paesi sunniti. Cosa che, se portata in fondo, aumenterebbe le difficoltà di Teheran.

L’asse del male (cit. George W. Bush)

In questo quadro, dunque, stante le alleanze note degli Ayatollah, peraltro rese “orgogliosamente” pubbliche da una serie di foto con Putin e i Jihadisti (la Cina è il convitato di pietra), si delinea davvero un conflitto su larga scala potenzialmente molto pericoloso per l’Occidente. Si configura quello che già ai tempi George W. Bush definiva “Asse del Male”, uno scontro tra democrazia e dittatura per il quale non possiamo altro che stare orgogliosamente dalla parte della democrazia.

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