La Corte Costituzionale e la Corte europea dei diritti dell’uomo riconoscono che non esiste un diritto alla genitorialità per le coppie omosessuali

La famiglia è solo quella definita dall’articolo 29 della Costituzione Italiana ovvero una “Società naturale fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna”, questo l’assunto ovvio, ma quantomai dirompente nella società odierna, che la Corte Costituzionale ha ribadito in una sua recentissima sentenza, nella quale ha ritenuto di fatto impropria l’equiparazione delle coppie omosessuali a quelle eterosessuali.


In un silenzio assordante dei media, con la sentenza n.221 del 23 ottobre 2019, la Corte costituzionale si è pronunciata in tema di omogenitorialità, ritenendola, di fatto, estranea all’ordinamento giuridico italiano perché i bambini sono soggetti di diritto, e le coppie omosessuali per essere “genitori” devono ricorrere a pratiche a loro legalmente precluse, in quanto “fisiologicamente” sterili.

La Corte Costituzionale tornando a pronunciarsi sul tema della procreazione medicalmente assistita, ha giudicato la legittimità costituzionale degli artt. 5 e 12 della Legge n. 40/2004, ritenendo corretto che vi possano ricorrere solo le coppie formate da persone di sesso diverso, disciplinando diversamente due realtà (coppie omosessuali e coppie eterosessuali) considerate tra loro ontologicamente differenti.


Di medesimo avviso era stata anche la Corte europea dei diritti dell’uomo, che si era già espressa affermando che non è fonte di ingiustificata disparità di trattamento nei confronti delle coppie omosessuali, agli effetti degli artt. 8 e 14 della Convenzione Europea dei Diritti dell’uomo, una legge nazionale che riservi l’inseminazione artificiale a coppie eterosessuali sterili, attribuendole una finalità terapeutica: ciò, considerando che la situazione delle due coppie non è paragonabile (Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 15 marzo 2012, Gas e Dubois contro Francia).

Le motivazioni della sentenza della Corte Costituzionale
Il Tribunale di Pordenone e quello di Bolzano avevano sollevato la questione di legittimità costituzionale degli artt. 5 e 12 della Legge n. 40/2004 in materia di procreazione medicalmente assistita, preclusa a due coppie di donne unite civilmente dalle competenti Aziende Sanitarie ai sensi dell’art. 5 della legge n. 40/2004 che riserva l’accesso a detta pratica alle sole “coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi”, prevedendo all’art. 12, una sanzione amministrativa pecuniaria elevatissima (da 200.000 a 400.000 euro) a chiunque applica tali tecniche tra l’altro, a coppie “composte da soggetti dello stesso sesso”, prevedendo altresì, ai commi 9 e 10, sanzioni di tipo interdittivo nei confronti del personale medico e delle strutture che decidano comunque di procedervi.

La Consulta prende le mosse dal dato normativo, chiedendosi, alla luce del fatto che oggi sia possibile scindere atto sessuale e procreazione se sia configurabile un “diritto a procreare”, o un “diritto alla genitorialità”, se il desiderio di avere un figlio tramite l’uso delle tecnologie meriti di essere assecondato alla luce della tutela dei diritti del concepito e del futuro nato. E si risponde di no. Una coppia può esistere anche senza figli, ma non sarà famiglia.

La legge pone infatti una serie di vincoli soggettivi di accesso alla fecondazione assistita, valorizzando la finalità preminentemente terapeutica delle tecniche e ribadendo la scelta di un modello familiare connotato da due genitori di sesso diverso.
La Corte Costituzionale non ritiene sussistente la violazione degli artt. 3 e 117 della Costituzione nei casi di negata fecondazione assistita alle coppie gay, in quanto il caso contrario avrebbe effetti dirompenti sul novero di ulteriori posizioni soggettive attualmente escluse dalle pratiche riproduttive, ponendo anche interrogativi particolarmente delicati in merito alla sorte delle coppie omosessuali maschili.
L’infertilità “fisiologica” della coppia omosessuale femminile difatti non è affatto equiparabile a quella, assoluta e irreversibile, propria della coppia eterosessuale affetta da patologie riproduttive.
La Consulta ritiene che la Costituzione “non pone una nozione di famiglia inscindibilmente correlata alla presenza di figli” e che la libertà e volontarietà dell’atto che consente di diventare genitori non può esplicarsi senza limiti.
Una scelta quella della Consulta che tiene in buon conto la tutela del nascituro e i due binari fondamentali della legislazione italiana, aspetto terapeutico e eterosessualità dei richiedenti la pratica di fecondazione assistita per rispetto e tutela del nascituro, al fine di assicurargli un contesto naturale e consono al suo corretto sviluppo psicofisico, riconoscendo nel dato costituzionale di famiglia di cui all’art. 29 quello di famiglia tradizionale e naturale.

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