Il “vuoto” politico della sinistra italiana
Per gran parte del Novecento, il lavoro è stato il cuore pulsante dell’identità della sinistra italiana.
La rappresentanza sindacale, la tutela del lavoro dipendente, la difesa dei salari, la protezione sociale, tutto ruotava attorno alla centralità della persona che lavora.
Oggi, quella centralità sembra essersi progressivamente dissolta
Negli ultimi anni, la sinistra ha spostato il proprio baricentro. È passata dalle fabbriche alle Università, dalle tute blu al manager pubblico. L’agenda politica si è riempita di istanze culturali e identitarie, talvolta importanti, ma che raramente toccano la vita quotidiana di chi vive con uno stipendio da millecinquecento euro al mese.
Dagli scioperi sindacali il PD è passato alle battaglie legate ai diritti civili, alla transizione ecologica, al linguaggio inclusivo
Tutti temi che stanno dimostrando lo scollamento con la realtà operaia e sono diventate adesso elemento dominante. Una frattura che oggi si riflette anche nei malumori interni al partito.
La linea Schlein, molto identitaria e spinta a sinistra, è contestata da un’area crescente di amministratori locali e dirigenti riformisti che chiedono di tornare ai temi sociali concreti, come salario, pensioni, fiscalità, casa.
Ma non è solo una questione d’identità
È una crisi di rappresentanza che si misura nei numeri: operai, lavoratori autonomi, piccoli commercianti e impiegati votano sempre meno a sinistra.
E non necessariamente perché abbiano abbracciato un’ideologia di destra, ma perché la sinistra non li considera più.
Nel vuoto lasciato da questa trasformazione, è la destra — in particolare Fratelli d’Italia — ad aver intercettato parte del disagio. Le misure adottate dal governo Meloni in campo economico, pur con tutti i limiti di bilancio, sono state chiaramente orientate a favore della base produttiva e del lavoro.
Il taglio del cuneo fiscale per i redditi medio-bassi, la detassazione dei premi di produttività, l’innalzamento del tetto al contante e la flat tax incrementale per le partite IVA sono segnali chiari. Segnali che parlano, soprattutto, a chi lavora senza tutele
Ma si tratta ancora di misure frammentate, più difensive che strutturali. Mancano, almeno per ora, una visione complessiva sul lavoro del futuro, un piano organico per i salari, una riforma fiscale coerente, una strategia sull’occupazione giovanile e femminile.
E proprio qui si gioca la vera partita politica
Perché non basta che la sinistra si defili per far vincere la destra. Se quest’ultima vuole davvero rappresentare quel mondo del lavoro che oggi guarda a destra più per necessità che per convinzione, serve uno scatto in avanti. Servono politiche industriali, investimenti nella formazione tecnica, riforme del welfare che incentivino il lavoro piuttosto che la dipendenza dallo Stato.
Il lavoro è tornato al centro della sofferenza sociale
Non per disoccupazione, ma per sottoccupazione, per l’incertezza, per la stagnazione salariale. E questo riguarda non solo i ceti popolari, ma anche quel ceto medio che ha retto il Paese per decenni e che oggi si sente smarrito e incapace di trovare una reale rappresentanza politica.
È una crisi che non si risolve con la nostalgia del passato, né con slogan identitari
Serve pensiero lungo, responsabilità politica e un linguaggio nuovo. Se la sinistra non è più in grado di parlare al cuore economico del Paese, tocca alla destra non limitarsi a prenderne il posto, ma a costruire un modello sociale credibile, moderno e radicato nella realtà.
Il rischio è che anche questo passaggio di testimone si trasformi nell’ennesima occasione persa
E che il lavoro, ancora una volta, resti senza una voce.
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