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Il doppio standard nei conflitti: la questione ucraina e la selettività della solidarietà

di Simone Margheri
8 Giugno 2025
In Attualità
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E pace sia
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Il doppio standard nei conflitti: la questione ucraina e la selettività della solidarietà

In un recente intervento pubblicato sui social, Fabrizio Cicchitto – figura storica del socialismo riformista italiano ed ex parlamentare di lungo corso – ha offerto una riflessione puntuale e problematizzante sulla selettività con cui parte della sinistra italiana interpreta i conflitti internazionali.

L’occasione è stata la manifestazione a favore della causa palestinese svoltasi a Roma, coincidente con una nuova e violenta offensiva missilistica russa sull’Ucraina

Cicchitto rileva, con precisione, l’assenza pressoché totale di riferimenti alla guerra in Ucraina da parte dei principali promotori e partecipanti alla manifestazione – tra cui Elly Schlein, Giuseppe Conte, Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli – nonostante l’intensificarsi della violenza da parte della Federazione Russa e il perdurare di gravi violazioni del diritto internazionale.

L’osservazione si muove su due livelli. Il primo è quello etico-politico, e riguarda il principio di universalità nella difesa dei diritti umani. Il secondo è strategico-comunicativo, e interroga la logica selettiva con cui vengono costruiti pubblicamente i contenuti dell’indignazione politica e civile

La guerra in Ucraina: crimini documentati e responsabilità accertate

Dal febbraio 2022, la guerra condotta dalla Russia contro l’Ucraina ha prodotto migliaia di vittime civili, distruzione di infrastrutture non militari, e una crisi umanitaria senza precedenti in Europa nel dopoguerra. Uno degli aspetti più gravi, come ricordato da Cicchitto, è rappresentato dalla deportazione forzata di minori ucraini verso la Russia o i territori occupati. Secondo fonti ufficiali ucraine, affiancate da documentazione della Commissione d’Inchiesta delle Nazioni Unite, sarebbero oltre 15.000 i bambini coinvolti, molti dei quali inseriti in famiglie russe o strutture statali, con l’obiettivo esplicito di una loro rieducazione culturale.

Tali atti hanno portato la Corte Penale Internazionale all’emissione di un mandato d’arresto nei confronti del presidente Vladimir Putin e della commissaria russa per i diritti dell’infanzia, con l’accusa formale di crimini di guerra

A fronte di ciò, il silenzio politico di una parte dell’opinione pubblica italiana risulta difficilmente giustificabile, soprattutto se confrontato con la costante mobilitazione su altri fronti geopolitici, primo fra tutti quello israelo-palestinese.

Selettività dell’indignazione e calcolo politico

L’analisi di Cicchitto si sviluppa in una direzione più ampia, che chiama in causa il criterio di selezione morale e politica delle cause internazionali da sostenere. Quando la violazione dei diritti umani è attribuibile a potenze non occidentali – nel caso specifico, la Russia – la condanna tende ad attenuarsi, se non a scomparire del tutto. Al contrario, laddove vi siano attori identificati come parte del sistema occidentale, le proteste si moltiplicano, talvolta con toni iperbolici e con riduzione della complessità geopolitica.

Questo comportamento – osserva implicitamente Cicchitto – non è esente da logiche di convenienza politica. La causa palestinese mobilita una parte rilevante dell’attivismo giovanile e di alcune comunità straniere in Italia, percepite come potenziale elettorato futuro, anche attraverso percorsi di cittadinanza.

La solidarietà alla resistenza ucraina, invece, non gode della medesima “redditività politica”: gli ucraini difficilmente voteranno in Italia, e la loro causa è considerata meno utile sul piano del consenso immediato

Da ciò si origina una prassi comunicativa ambivalente: laddove l’identificazione con la vittima è elettoralmente funzionale, la condanna dell’aggressore è netta e continua; laddove non lo è, si tende a rimuovere o relativizzare. Le guerre, come le leggi, sembrano applicarsi a geometria variabile.

Una questione di coerenza democratica

Il nucleo della riflessione proposta da Cicchitto tocca un punto che dovrebbe interrogare non solo i leader politici, ma anche gli intellettuali e i media: la credibilità della difesa dei diritti umani si misura nella capacità di mantenerla costante, indipendentemente da chi sia l’aggressore. Attribuire legittimità alla sofferenza solo in funzione del proprio orientamento ideologico o delle convenienze politiche mina alla radice l’universalismo dei valori democratici.

In questo senso, il caso ucraino costituisce un banco di prova per l’Europa e per le sue opinioni pubbliche. Sostenere l’Ucraina non equivale a sostenere una parte contro un’altra in modo meccanico o propagandistico, ma implica riconoscere che è in corso una difesa armata della sovranità nazionale e dell’autodeterminazione democratica contro una potenza autoritaria

Il silenzio di fronte a tale realtà, mentre si rivendicano battaglie umanitarie altrove, è un segnale di incoerenza politica e fragilità culturale.

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Tags: GUERRA RUSSO-UCRAINAIN EVIDENZAISRAELEPALESTINASINISTRA
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