Elvira Banotti, Cécile Kyenge e una femminista contro lo ius soli

elvira banotti

Pochi conoscono Elvira Banotti, se non per quel famoso scontro televisivo con Indro Montanelli. Nel quale lo accusava per aver sposato una dodicenne abissina. È famosa la scena di quella della bellissima ragazza di colore che incalza con grande charme ed acume uno dei più grandi giornalisti italiani di tutti i tempi.

Ma Elvira rappresentava molto di più. Era una femminista radicale ma anche un intellettuale coerente e coraggiosa.

Ora che si è tornati a parlare di ius soli, è illuminante quanto pensava lei, scontrandosi con Napolitano, Fini, ma anche e soprattutto sentendo apertamente dal ministro Cécile Kyenge.

Innanzitutto Elvira Banotti si scagliò duramente contro il tentativo di mascherare la caduta della natalità in Italia tramite quella che lei vedeva come “una azione colonizzatrice sui figli dei migranti del tutto arbitraria”.
Lei considerava la denatalità della popolazione italiana non come un fattore meramente numerico. Ma come la riprova di un appariscente scompenso sociale predisposto con appropriazioni e delapidazioni scandalose di ricchezze. Mentre si aveva mai la stessa quotidiana euforia per far decadere l’accanita persecuzione politica e sociale contro la maternità delle cittadine italiane. Come presupposto essenziale di vita rimosso da barbari governi europei che milioni di giovani donne finalmente con grande contestarono al grido “se non ora quando”.

Dalle colonne del Foglio scrisse alcune infortunati riflessioni che vale la pena conoscere sul tema della cittadinanza.

La cittadinanza

“La cittadinanza – scriveva – rappresenta una forma di “elezione politica e culturale” della persona, portandola a far parte di una comunità che gli conferisce i diritti privati e pubblici, lo protegge ma esige aderenza agli obblighi. Lo scopo della cittadinanza è quello di istituire soprattutto un orientamento, una lealtà, un’armonia tra coloro che la compongono.

Quindi non è attributo territoriale ma è pilastro del sistema sociale, della sua “Estetica”. Istituisce l’obbligo di aderire lealmente alla convivenza, condividendo idee e senso della giustizia. Tutti elementi che servono a realizzare relazioni aperte, e significa piacere e sicurezza del vivere, aderire attivamente.

La cittadinanza è quindi una condizione culturale (non solo territoriale) che si perpetua tra le generazioni attraverso l’imprinting familiare che è addestramento naturale del neonato. Lo ius sanguinis rispecchia quindi una realtà sociale ed è anche proiezione e trasmissione di tendenze conservate biologicamente tanto quanto lo sono i tratti del corpo, i quali stampano indelebilmente l’appartenenza alla madre e al padre. Così nasce lo ius sanguinis”.

Una legge non  può rendere italiani

Elvira Banotti proseguiva il suo proprio momento analizzando l’impossibilità di italianizzare semplicemente con legge, senza un sentire comune da parte di naturalizzato.

“Imporre per decreto una qualsiasi cittadinanza a un neonato comporterà un suo dissesto interiore. Perché negli anni scolastici gli si chiederà di praticare il rigetto di significati cementati nella famiglia. Tanto che l’immissione di paradigmi interpretativi diversi provocherà in lui una involontaria frattura tra sé e i genitori. Dei quali dovrà rinnegare tendenze ed orientamenti incrinando il lato affettivo tra consanguinei. Sarà un vivere indolore? No, perché gli si imporrà di configgere con le attitudini di sorelle e fratelli “nati cresciuti ed educati altrove”.

La sua diventerà un’esistenza sorvegliata da uno stato che pretenderà la sua progressiva trasformazione nel “ritratto” di un italiano. Una esperienza mai richiesta fino a oggi a nessun immigrato adulto verso il quale – al contrario – si blatera sul suo diritto imprescrittibile a conservare tendenze inaccettabili. Mentre per i figli verrà articolata una continua scomposizione mentale. Questo per respingere senz’appello le finalità di genitori che sono e saranno la loro fonte reale di sicurezza e anche il loro più radicato legame.

Intimamente immigrati

Quei bambini si sentiranno degli immigrati nell’anima. Perché si è tentato di strappare loro la dimensione emotiva assorbita fin nella gravidanza e nei primi anni simbiotici con la madre. Neonati che verranno costretti a modificare i propri connotati culturali – tra i quali il senso religioso che andrebbe posto al centro della bilancia – per essere ridotti a testimoni passivi approdati a una progettazione astratta e provvisoria, quella di insegnanti e scuole.

Chi potrà credere che quei bambini inquinati da continue sostituzioni di senso saranno immuni da pericolosi sdoppiamenti? Questo è un dubbio che non può trovare risposte nella torbida ipotesi della “integrazione”. Considerato che l’islamismo e l’animismo sono dei grandi focolai di impulsi elementari e spesso irrazionali i quali proietteranno i loro effetti soprattutto sul mondo femminile italiano. Il quale dovrà riarmarsi per neutralizzare quei veleni irrorati in future geometrie sociali che islamici animisti o anche cristiani integralisti continueranno a promulgare e manifestare contro il mondo femminile dalle controversie sui figli nati da islamici e italiane alle mutilazioni genitali pretese dagli uomini e fatte praticare anche in Italia”.

La bandiera dell’Islam al Parlamento Europeo

E concludeva il su ragionamento individuando anche i rischi ai quali andava incontro una politica totalmente miope.

“Attenzione inoltre al fatto che integralisti islamici cattolici o animisti di qualsiasi etnia potrebbero aggregarsi per sintonia in corporazioni o partiti come è già avvenuto a Bruxelles. Ove sui pennoni del Parlamento europeo sventola una bandiera nera dell’islam accolta erroneamente come simbolo di omologazione di cittadinanze assegnate a immigrati ma anche come estensione del continente verso est.

Operazione già sperimentata nel passato. Che ha evidenziato come il sommarsi traumatico di “inculture” e di ambizioni nefaste sia stato ostacolo allo sviluppo positivo tra i sessi. Ricordiamoci della moltiplicazione della tratta di adolescenti e giovani donne rapite ovunque, anche in Africa, per prostituirle ai nostri concittadini europei in tal modo ri-addestrati diffusamente al sadismo.

Una prospettiva pericolosa che combinata con l’aumento della clandestinità mai impedita ci sovrasterà poiché in futuro vedremo affidati posti chiave a individui meteore del Corano – la maggior parte degli immigrati è maomettana – o della Bibbia. Si pensi alla tragedia innestata in Palestina dal “popolo eletto” che dopo duemila anni torna nella terra promessa non si sa da chi. Individui freneticamente armati dal voto e da un inglobamento artificioso carico di comportamenti arcaici per i quali chiederanno tutela.

Un sistema di idee

Quanto ci costerà in termini di paralisi dello sviluppo l’innesto di tutte quelle scemenze sistematizzate nelle religioni. Senza un sistema di idee modificato profondamente dalla integrazione delle sommerse vicende storiche femminili nessuna politica sarà in grado di fermare spinte dispotiche.

Non trascuriamo il fatto che una clandestinità diffusa è il detonatore dell’insicurezza. Crea sfilacciature che logorano le civiltà. Perché invece non assegniamo al neonato il requisito della residenza che rappresenta un presupposto giuridico per eventuali futuri riconoscimenti e potrebbe anche essere nel tempo attribuita ad altri componenti della famiglia? Ciò garantirebbe anche la facoltà di revoca in caso di gravi reati, conflitti politici, attenti alle tensioni e agli episodi che si stanno diffondendo in Inghilterra, Norvegia, Danimarca, Francia, Rosarno.

Pongo un interrogativo. Come si possa (in casi di gravi reati o attentati terroristici) decretare l’espulsione di genitori “privilegiati” dal requisito di cittadinanza attribuito al figlio minore? Oppure – nel caso in cui il nucleo familiare ritorni nei paesi di provenienza – come proteggere una bambina italiana da matrimoni forzati e precoci (dodici anni) preordinati dal diritto islamico? O addirittura come impedire mutilazioni o punizioni tremende?”.

 

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