Coltivare Cannabis inquina 40 volte di più che coltivare lattuga: ecco perché

cannabis

Per la sinistra “liberal” paladina del “green” e anche della liberalizzazione della marijuana si prospetta un corto circuito. A dispetto degli obiettivi di azzeramento delle emissioni, una recente inchiesta mostra che coltivare piantine di cannabis inquina in termini di sprechi energetici, 40 volte più che una pari quantità di lattuga.

Lo rivela la testata statunitense Politico. La crescente apertura alle droghe leggere, in ormai 37 Stati degli Usa, ha fatto sì che l’80% della marijuana venisse da piccoli coltivatori in casa o in serra. Anche perché la droga leggera è ammessa a livello di singoli Stati, ma non a livello federale e ogni produzione all’interno di uno Stato dev’essere consumata solo in quei confini. Sono impossibili colture su vasta scala con smercio in tutti gli Usa.

L’impatto sull’ambiente è notevole. Scrive Politico: «La cannabis è coltivata con apparati d’illuminazione e sistemi di controllo ambientale progettati per massimizzare la produzione, roba che consuma 2000 Watt di elettricità per metro quadro, ben 40 volte ciò che è richiesto da verdure a foglia verde come la lattuga, quando coltivata al chiuso».

GLI SPRECHI

Commenta Kaitlin Urso, consulente ambientale del Colorado Department of Public Health and Environment: «Per essere un’industria “verde” ci sono vari scheletri nell’armadio». Si stima che in Stati come il Massachussets la coltivazione della cannabis impegni il 10% del consumo elettrico delle aziende. E che l’energia richiesta per la produzione finale di un grammo di marijuana sia pari a quella consumata da una moderna automobile elettrica o ibrida in un tratto di 20 miglia di strada (circa 32 km).

Una media coltivazione indoor di cannabis consuma tanta elettricità come 14 appartamenti. In totale, l’elettricità necessaria per tutte le coltivazioni Usa di cannabis equivarrebbe all’1% dell’intero fabbisogno elettrico americano. Nell’ultimo anno la vendita di cannabis è salita del 50%, toccando 20 miliardi di dollari e dando lavoro a 80.000 persone. Alla modernizzazione delle colture con tecnologie a basso consumo si oppone la piccola scala dei produttori, che non rende remunerativo investire in impianti più efficienti, né soddisfa requisiti per incentivi pubblici. Il commercio di cannabis fra gli Stati non è legale e in ogni territorio ci sono bacini limitati, con eccezioni tipo New York coi suoi 20 milioni di abitanti.

Ma anche in tal caso, Adam Smith, direttore dell’associazione Craft Cannabis Alliance, che propugna il libero commercio della droga leggera, ammette: «A New York, con 20 milioni di persone, aumentare la produzione di cannabis con lampade e al chiuso, non è economicamente sostenibile, né competitivo, e nemmeno sano dal punto di vista ambientale». Perciò chiede la vendita interstatale, osservando: «Non puoi tenere fuori dal tuo Stato le arance della Florida o le pesche della Georgia».

SCORTE PER 6 ANNI

Solo la libera circolazione della marjuana in tutta l’Unione ne giustificherebbe produzioni di massa ad alta efficienza. Gli scompensi hanno causato effetti curiosi. In Oregon s’ è prodotta in un anno tanta marijuana che gli abitanti dello Stato potrebbero consumarla in sei anni. E il Colorado ha un surplus che basterebbe per Los Angeles. Sovrapproduzione invenduta significa uno spreco nello spreco, in termini di risorse. Ardua sfida per Biden e i dem, che puntano alle “zero emissioni” entro il 2050. Detto in altri termini, sarebbe come dire che molti seguaci di Greta Thunberg dovrebbero preferire fumarsi foglie d’insalata anziché “cannoni”.

Scherzi a parte, il problema scomoda anche la politica. Un ex-candidato presidenziale dei democratici come il senatore Bernie Sanders, che pure in campagna elettorale invocava sia la liberalizzazione delle droghe, sia le politiche ambientali, ammette di non aver mai sospettato legami fra i due settori: «Onestamente non ci avevo mai pensato, non mi è famigliare la questione». Tre senatori democratici, Chuck Schumer, Ron Wyden e Cory Booker, pensano a una proposta per legalizzare la marijuana a livello federale, proprio prendendo a pretesto l’espansione del mercato in modo da efficientare le colture e renderle meno “sprecone”, ma al Congresso la proposta è stata affossata da uno scarso consenso.

Mirko Molteni per “Libero quotidiano”

 

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