Apollo 13 cinquant’anni fa finì il futuro

APOLLO

Apollo 13 – Cinquant’anni fa, nel 1970, tornammo sulla terra. Il simbolo di quella disfatta del futuro fu la navicella Apollo 13 che nella primavera del ’70 fallì la sua missione lunare, a differenza delle due precedenti astronavi e tornò dal futuro spaziale al presente terreno. Poi vennero il rapporto del Club di Roma sui limiti dello sviluppo, la crisi energetica e ambientale, l’austerity con le relative restrizioni.

Nello stesso tempo,

il sogno rivoluzionario che dava l’assalto al cielo e aveva percorso il Novecento si spegneva nel disincanto. La rivoluzione del ’68 non scalfì il sistema politico né il potere capitalistico; s’inacidì, s’incattivì da allora in poi dando vita agli anni di piombo, al partito armato, al terrorismo e all’estremismo; o su altri versanti ripiegò nella droga, nella rivoluzione sessuale, nei consumi e nel privato. L’utopia rivoluzionaria di un mondo migliore alimentata dalla Contestazione e la parallela utopia tecno-spaziale dalla conquista della luna, s’infransero a partire da quell’anno.

Sul piano del pensiero

la disfatta della contestazione, la fine del futuro e il rimpianto del sacro travolsero il principale riferimento della rivoluzione marxista e libertaria, la Scuola di Francoforte. Il suo cofondatore Max Horkheimer pubblicò in quell’anno due libri-intervista che segnarono la disfatta e lo separarono irrimediabilmente sia dal suo antico sodale, Theodor Adorno, morto l’anno precedente, che da Herbert Marcuse, rimasto a fianco del movimento contestatore.

Una sua intervista radiofonica con Otmar Hersche divenuta poi libro, riconosceva il fallimento della rivoluzione rispetto al potere tecnico e amministrativo; al posto della libertà cresceva l’automatismo. Quell’intervista fu pubblicata in Italia da un editore conservatore, Rusconi, col titolo Rivoluzione o libertà? e un saggio di Quirino Principe che sottolineava la disfatta del marxismo rivoluzionario: il pensiero non si era trasformato in prassi e in storia ma si ritirava sconfitto nei territori della filosofia e della teoria.

Nello stesso anno, Horkheimer rilasciava a Helmut Gumnior per Der Spiegel un’intervista sulla Nostalgia del Totalmente Altro, poi tradotta in Italia da una casa editrice cattolica, Queriniana. Qui Horkheimer riapriva i conti con la religione, con Dio, con la verità. Autore de L’eclisse della ragione e coautore con Adorno della Dialettica dell’Illuminismo, Horkheimer tornava alla sua origine ebraica con la Nostalgia del totalmente Altro, un modo per non nominare Dio invano, come prescrive il primo comandamento.

Il punto di partenza d’ambo i testi era il pessimismo e il punto d’approdo la nostalgia, col definitivo allontanamento dal marxismo e dalla rivoluzione. Per Horkheimer se la rivoluzione avesse trionfato avrebbe peggiorato il mondo e non avrebbe aperto le porte alla libertà ma all’oppressione. Anzi, a suo dire, la condizione del proletariato era migliorata senza la rivoluzione. C’era poi un’insanabile contraddizione tra libertà e giustizia e tra libertà ed uguaglianza, contrariamente a quel che pensava Marx.

Più giustizia o più uguaglianza vogliono dire meno libertà, e viceversa.

Ma non solo: il progetto rivoluzionario sarebbe stato sconfitto dal potere amministrativo, dal dominio della tecnica e delle procedure automatiche. “Gli uomini del futuro – diceva – agiranno automaticamente: a un segnale rosso si fermeranno a un segnale verde proseguiranno. Obbediranno a segnali”.

La società amministrata, notava, potrà soddisfare i bisogni materiali dell’uomo ma lascerà irrisolti e acuiti i bisogni spirituali. Gli uomini hanno bisogno di dare un senso alla loro vita e lo scientismo ateo non è in grado di darlo. Nè potrà trovare una risposta la solitudine di massa e dei vecchi in particolare.

Horkheimer non accusava la tolleranza repressiva della società borghese: ma la criticava per il suo relativismo e la perdita di un orizzonte comune. Si dovrà scegliere tra barbarie e umanesimo. Per Horkheimer l’unica possibile riscoperta di Dio può avvenire nel segno della nostalgia; un sentimento triste di perdita irreparabile. Solo un dio ci può salvare, avrebbe poi detto Heidegger; per Horkheimer non era più possibile appellarsi a Dio, né rappresentarlo.

Con lui la Scuola di Francoforte passava dalla dialettica negativa alla teologia negativa. Nella società amministrata la teologia sarà soppressa, avvertiva il filosofo. La vita sarà priva di senso, dominata dalla noia – male metafisico per Gabriel Marcel – ma con la teologia anche la filosofia sarà considerata una pratica puerile e si avvierà al tramonto. L’illuminismo si capovolge: la fine della religione non decreta il trionfo della ragione ma porta con sé il declino della ragione. Da qui il suo pessimismo, la sua filosofia della disperazione.

Per Horkheimer

la moderna liberalizzazione della religione conduceva alla fine della religione. E sul piano sociale la liberazione sessuale toglieva all’amore la sua base, che è nella nostalgia della persona amata; e si perdeva nel possesso dei corpi (“la pillola non è un progresso” diceva Horkheimer). Arrivò a sostenere che l’amore ha bisogno di un fondamento teologico.

È il cortocircuito del pensiero marxista e rivoluzionario, il capovolgimento della scuola di Francoforte; al confronto si rivelava superiore la lucidità del pensiero conservatore, realista e metafisico, religioso e tradizionale. Horkheimer certificava la disfatta dell’ideologia ateo-radicale e progressista. La parabola declinante del progresso globale cominciò allora e ancora prosegue: da Apollo-13 a covid-19.

MV, Panorama n. 13

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