URGE UNA RIFORMA DELLA RIFORMA CARTABBIA
Negli ultimi mesi le cronache hanno raccontato un fenomeno che non accenna a diminuire: i borseggi nelle grandi città d’arte italiane.
A Venezia la polizia locale ha contato fino a ottanta borseggiatori in azione nello stesso giorno, mentre solo nei primi sei mesi dell’anno sono stati recuperati centinaia di portafogli svuotati
A Roma, secondo i dati diffusi dalla Questura, le denunce per furti con destrezza nei mezzi pubblici sono aumentate del 15% rispetto all’anno precedente. Firenze non è da meno: i dati del Comune parlano di oltre 1.200 denunce nei primi nove mesi, con un incremento del 12% rispetto al 2023. Numeri che raccontano un fenomeno seriale, diffuso, che alimenta la percezione di insicurezza soprattutto tra i turisti.
In questo contesto si inserisce la discussione sulla riforma Cartabia, che ha modificato il regime di procedibilità per diversi reati. Il furto con destrezza, se non aggravato da circostanze particolari, è oggi perseguibile solo a querela della vittima
Se il turista derubato non sporge denuncia, spesso perché ha tempi stretti o non vuole complicazioni burocratiche, l’azione penale non parte. Così accade che chi viene fermato in flagranza di borseggio sia rilasciato poco dopo, generando la convinzione che il sistema favorisca l’impunità. Magistrati e sindaci hanno denunciato questo paradosso: a fronte di centinaia di episodi segnalati ogni mese, le denunce formali restano una frazione, e di conseguenza i procedimenti giudiziari sono pochissimi.
Il problema non nasce solo dalla norma, ma anche da una macchina giudiziaria e penitenziaria in difficoltà
Le carceri italiane ospitano oltre 60.000 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di circa 51.000 posti, con tassi di sovraffollamento che superano il 120% in molte strutture. In alcune case circondariali le celle previste per due ospitano quattro persone. La polizia penitenziaria denuncia organici ridotti: mancano circa 15.000 unità rispetto agli standard previsti, mentre le aggressioni agli agenti sono in crescita.
I Centri di permanenza per il rimpatrio, che dovrebbero gestire i casi degli irregolari coinvolti in microcriminalità, funzionano a macchia di leopardo e sono spesso al centro di proteste per le condizioni interne
È evidente che senza strutture adeguate, ogni stretta repressiva rischia di trasformarsi in un imbuto ingestibile.
Il tema è politico e sociale al tempo stesso. Le amministrazioni locali in particolare quelle di centro destra chiedono al governo di riportare almeno i furti seriali o quelli commessi in aree turistiche sotto la procedibilità d’ufficio.
Alcuni parlamentari hanno presentato proposte in tal senso, ma la discussione si intreccia con i vincoli di bilancio e con l’esigenza di non intasare ancora di più tribunali e carceri. È però illusorio pensare che il problema si risolva con un colpo di spugna.
La microcriminalità non si combatte con l’impunità e nemmeno nascondendosi dietro un dito
Richiede investimenti veri: ristrutturare e rimodernare le strutture penitenziarie esistenti, costruirne di nuove dove necessario, potenziare gli organici della polizia penitenziaria, dotare i CPR di risorse e condizioni dignitose. Senza questa base materiale ogni riforma rischia di essere percepita come un alibi, mentre le strade delle città continuano a raccontare un’altra realtà: chi borseggia spesso non paga davvero il conto.
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