Una sinistra nel caos e cinque referendum inutili: l’Italia non può permetterseli
In Italia, quando qualcosa non funziona, si trova sempre il modo di dare la colpa a qualcun altro. È quasi una tradizione. Ma stavolta la responsabilità è chiara: siamo davanti all’ennesima manovra della sinistra, sempre più confusa, sempre più lontana dai bisogni reali dei cittadini.
Il Partito Democratico, partito da sempre arroccato nei palazzi del potere, sembra convinto che gli italiani gli debbano qualcosa. Che debba stare al governo per diritto divino. Che i suoi dirigenti debbano poter contare su stipendi pubblici, nomine e giri di poltrone come unica strategia per mantenere un minimo di consenso
E ora eccoci qui, a discutere di un referendum totalmente privo di contenuti concreti, ma pieno di ideologia. Un’operazione politica che avrà anche un impatto economico rilevante sui conti pubblici, ma che non servirà a migliorare la vita di nessuno. Un’iniziativa costruita per tenere in piedi un partito che non riesce più a parlare al Paese.
Una strategia miope e autoreferenziale
Lo ha detto persino Antonio Padellaro, che certo non può essere accusato di ostilità pregiudiziale verso la sinistra: il rischio non è solo quello di non raggiungere il quorum, ma di vederlo con il binocolo.
Gaetano Quagliariello, in un editoriale lucido e coraggioso sul Giornale, ha evidenziato come la segretaria Schlein stia usando il referendum per mettere all’angolo la componente riformista del PD.
E infatti, oggi i riformisti sono schiacciati in un campo largo che guarda sempre più a sinistra, escludendo chiunque non si allinei al radicalismo ideologico che domina quell’area. Un’ortodossia che trasforma ogni voce diversa in eresia.
Cinque quesiti, cinque boomerang
Ma li abbiamo letti questi cinque quesiti? Vale la pena esaminarli uno per uno.
1. L’abrogazione del Jobs Act.
È grottesco. È stato proprio il PD a introdurre il Jobs Act. Ora i sindacalisti, improvvisamente rivoluzionari, si scagliano contro una misura che hanno sostenuto quando erano al governo. Quando hanno avuto la possibilità di cambiare le cose, hanno contribuito a precarizzare il lavoro, non a rafforzarlo. Hanno eliminato le tutele invece di ampliarle. E ora si propongono come paladini del lavoro? È una farsa.
2. L’eliminazione del tetto massimo per l’indennizzo in caso di licenziamento illegittimo nelle imprese con meno di 15 dipendenti.
Questo è un attacco diretto alle piccole e medie imprese. Il nostro tessuto produttivo si regge proprio su queste realtà, spesso a conduzione familiare. Pretendere che un piccolo imprenditore possa sostenere risarcimenti sproporzionati significa spingerlo verso il fallimento. Non è tutela dei lavoratori, è l’ennesima misura che favorisce solo i grandi gruppi, capaci di assorbire ogni urto. È l’opposto di una politica sociale giusta.
3. L’abolizione della possibilità di stipulare contratti a tempo determinato senza causale fino a 12 mesi.
Questo quesito dimostra una totale disconnessione dalla realtà. Oggi viviamo in un mercato del lavoro dinamico, in cui serve flessibilità. I dati parlano chiaro: aumentano i contratti stabili, calano quelli a termine. Vietare ai datori di lavoro la possibilità di un primo contratto a termine significa rendere più difficile l’assunzione di giovani e neodiplomati. Significa chiudere la porta in faccia a chi cerca il primo impiego. È un autogol.
4. L’abrogazione della responsabilità solidale del committente per gli infortuni da rischi specifici dell’appaltatore.
Una misura che rischia di creare solo confusione e ritardi. Si andrebbe a generare una responsabilità generica, mal definita, che non solo non tutelerebbe meglio i lavoratori, ma complicherebbe l’iter per ottenere i risarcimenti.
Il governo ha già stanziato 1,2 miliardi per rafforzare i controlli, investire sugli ispettori e premiare le imprese che si impegnano nella sicurezza
Invece di cavalcare l’emotività, come nel caso della tragedia di Firenze, i promotori del referendum dovrebbero spiegare perché in quella stessa regione – governata da decenni dal PD – i controlli non hanno funzionato. Sono forse esenti da responsabilità?
5. La modifica dei tempi per la cittadinanza.
Qui potremmo aprire un lungo capitolo. Ma non voglio cadere nella trappola ideologica. Dirò solo una cosa: le tensioni sociali e i disagi derivano dall’incapacità dello Stato di gestire l’integrazione. E a pagarne il prezzo sono i più deboli: gli italiani delle periferie, i poveri, gli anziani, gli emarginati. Gli stessi che la sinistra dice di voler rappresentare, ma che in realtà ha abbandonato da tempo.
In conclusione
Questi referendum sono un’operazione politica goffa e strumentale.
Sono lo specchio di una sinistra che ha perso ogni contatto con la realtà, che non sa più governare, né interpretare i bisogni veri del Paese.
La CGIL, un tempo soggetto autorevole di proposta, oggi si limita a fare da stampella al PD
I tempi di Luciano Lama, in cui il sindacato dettava la linea ai partiti, sono lontani. Oggi è il contrario: il sindacato si fa dettare la linea da chi, nel frattempo, ha perso le elezioni e la fiducia degli italiani.
Cinque referendum inutili, ideologici, costosi
Solo demagogia.
Niente di nuovo sul fronte occidentale.
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