Superbowl LV 2021, cinquantacinque anni di football americano

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Nella prima domenica febbraio, o a volte nella ultima di gennaio, si gioca la finale di football americano, e quest’anno si gioca la 55esima finale. Le squadre che si contendono il titolo sono per l’American Football Conference i Tampa Bay Buccaneers, i pirati della Baia di Tampa, contro i campioni della National Football Conference i Kansas City Chief, i capi indiani di Kansas City.

Al di là di considerazioni di tipo folcloristico, ad esempio sui nomi delle squadre, questo evento sportivo è l’evento che ogni anno raccoglie davanti alle tv americane il massimo share. E si posiziona come evento televisivo praticamente al secondo posto come evento per la tv dopo la finale di calcio del campionato di calcio del mondo. Si parla nei soli Stati Uniti di 200 milioni di telespettatori su 300 milioni di abitanti. Un evento. L’evento.

Seguo questo sport in modo non continuo, nel senso che non seguo tutte le partite della Season, ossia del campionato, ma dal 1982 ho visto in modo continuato tutte le finali, in notturne più o meno lunghe. Mi sono fatto un’idea sia sul gioco che sulle qualità degli atleti.

Tom Brady

Partiamo dall’inizio: il mitico Joe Montana. Lui è quello che per intendersi sta nel poster attaccato nella cameretta di Tom Brady: futuro quarterback dei record, MVP del Superbowl XVI vinto dai San Francisco 49ers contro le tigri del Bengala di Cincinnati. È il primo quarterback che a fine partita in quella notte di gennaio 1982 mi ha talmente entusiasmato che mi ha fatto venir voglia di seguire questo sport. Che dire, solo che Joe Montana, con parenti italiani, come molti giocatori di football, è stato un quarterback completo, intelligente, elegante, rapido e lento, forte nei lanci e decisivo nei momenti in cui bisogna fare qualcosa.

Faccio un inciso, il quarterback è l’uomo che guida la squadra nel momento dell’attacco. Quindi è l’uomo che comandanda il gioco, con un passaggio deve mettere i propri giocatori nella condizione di fare i punti. Ecco: scegliendo Joe Montana, è come se in un altro sport avessimo scelto Bjorn Borg, Jhoan Cruiff. Il livello e il suo posto nella storia, per intendersi, è pari a questi due sportivi appena ricordati.

Da quel momento ho visto quindi molte partite e tutte le finali trasmesse in TV oppure sul sito NFL.com, e di questi giocatori di attacco, di queste mezze ali, di questi “numeri 10” paragonandoli al calcio, mi sono piaciuti e rimasti impressi questi atleti: Peyton Manning, che giocò nei Colts e nei Broncos, un vincente, un caracollo continuo sul campo, un Beccalossi come tipo di corsa, un Rivera per le vittorie (per gli amanti del calcio), con un fratello, Eliah, meno famoso ma altrettanto vincente, con un stile diverso ma dal braccio potente.

Ho visto giocare John Elway, sempre dei Broncos, un piccolo carroarmato. Elway un vero vincente: oggi è vicepresidente dei Broncos. Mamma mia quante battaglie e sei finali, 4 vinte.

Dan Marino

Mi sono esaltato con l’oriundo Dan Marino, detto “the Man”, un cannone al posto del braccio, uno che tirava fucilate per tutta la season, uno splendido vincente a metà. All’epoca i commentatori americani dicevano che i proprietari dei Miami Dolphins non volevano vincere. Avevano Maradona ma non avevano la squadra, ed infatti, il mitico Dan The Man Marino non lo vince mai quel campionato perché la sua squadra in finale era nettamente inferiore all’avversario. Come un’Antognoni qualsiasi di una squadra chiamata Fiorentina, conosciuto “il ragazzo che gioca guardando le stelle”, ma che con lui non ha mai vinto il campionato di serie A.

Parlavo prima del mito Joe Montana, ricordo una Season, quella del ’91, in cui il suo secondo Steve Young, lo sostituì per molte partite arrivando in finale e vincendola come MVP, tipo film americano, dove se ti impegni raggiungi il tuo obiettivo e diventi un’eroe. Un quarterback dimenticato dai più. I miei amici che guardano football non lo nominano mai. Due volte MVP. Paragonato al calcio, è come… non saprei. Never Mind.

Kaepernick, Mahones e gli altri

Ne ho visti tanti vincenti e non, che hanno giocato la finale di Football. Tipo Colin Kaepernick nel 2013, quarterback dei 49ers, perdente. Un americano di colore che per i diritti umani praticamente si è giocato una carriera brillante e di successo. Privilegiando le lotte per i diritti delle minoranze anche nel mondo del Football americano rispetto al valore sportivo. Degno di essere menzionato, perché perdente come sportivo ma vincente come uomo nel campo della lotta civile per i diritti umani, problema che esiste in tutte le parti del mondo non solo in America, ma anche in Cina o nei Paesi Arabi.

Ma vorrei arrivare a quelli di oggi, Mahones ad esempio, giovane afroamericano 25nne alla guida dei Chief, che si gioca la finale domani sera. Un cannone. A livello statistico un leader, con moltissimi record. Già vincente al Superbowl dello scorso anno e quindi anche MVP. Al suo attivo con un Superbowl conquistato si propone a diventare un eroe di questo sport. Calcisticamente lo paragonerei ad un giovane Gullit, classe da vendere, certo vincere domani non sarà facile.

Ed infine visto che si fanno paragoni, chi possiamo paragonare a Pelè, oppure a Maradona? Prima ho detto che Dan Marino poteva essere il Maradona di questo sport, ma non lo è stato. Ha tutt’ora dei record in vigore, e tutt’ora un giocatore portato ad esempio. Gli amici mi dicono “ma io ho visto giocare Dan Marino…” ed ha ragione, ed infatti è All of Fame del Football. Però non ha vinto come Maradona o Pelè. Non ha mai vinto.

In una carriera che dura 10, 15 anni, se non hai infortuni, se reggi di testa, dove devi vincere con un tuo passaggio, in una season competitiva, il quarterback più forte, questo eroe ha un solo nome: TOM BRADY.

Brady e il calcio storico

Qualche anno fa sulle tribune del calcio storico in una finale del 24 giugno del torneo cittadino per la festa del patrono di Firenze, San Giovanni, mentre in campo c’era la confusione generalizzata del maschio calcio in livrea, mi dissero: “quello la è Tom Brady”.  Girando lo sguardo fui assalito da una forte emozione di vedere un eroe che solamente in TV avevo visto e conosciuto. Che dire, per un tennista se ti dicono seduto a tre metri da te c’è Roger Federer, che fai? Ti emozioni. Ecco quella fu la sensazione.

Tom Brady, eroe del football americano, per accostarlo a Pelè o Maradona fate voi, 10 finali, 6 vinte, quarteback dei New England Patriots.

Non voglio fare commenti. Le leggende si ammirano e si cerca di imitarle perché come esempio di sportivo non ha eguali. Ha 42 anni anni, integro fisicamente (la cosa non è scontata al football) corretto ed elegante ed a questa età domani sera, dopo aver cambiato squadra l’anno passato trasferendosi ai Pirati della Baia di Miami, ai Buccaners, domani sera giocherà in casa a Tampa la sua 11ma finale.

Il superbowl è un gioco di squadra e vince la squadra, quindi puoi avere anche Tom Brady, ma per vincere lui ha bisogno della sua tasca, della sua difesa e del suo attacco (con il mitico Gronkoski! – un minotauro che merita una storia a se), quindi anche se il cuore dice PIRATI, credo che la squadra di Kansas sia più equilibrata, non che Mahones è più bravo, ma ha a sua disposizione un team più amalgamato nei ruoli chiave.

Ricordatevi di The Man, nell’uno e nell’altro caso. Certo Tom Brady, attualmente è il GOAT e può permettersi di perdere anche la sua undicesima finale. Il Great Of All Times almeno per un altro decennio è sicuramente lui.

Go Buccaneers!

 

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