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Home Politica

Siamo ormai alle porte del referendum

di Sara Cavini
24 Maggio 2025
In Politica
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referendum
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Siamo ormai alle porte del referendum composto da cinque quesiti indetto in materia di normativa sul lavoro e sui requisiti necessari per acquisire la cittadinanza italiana, previsto per l’8 e il 9 giugno.

I primi quattro riguardano temi relativi ai licenziamenti e alla sicurezza sul lavoro; il primo tra tutti è sull’abrogazione del contratto a tutele crescenti previsto dal Jobs act, la riforma del diritto del lavoro promossa dal governo Renzi

Il quinto quesito prevede il dimezzamento del periodo di soggiorno legale in Italia dai 10 anni attualmente previsti per farne richiesta.

L’attenzione quindi si concentra sul raggiungimento del quorum, la soglia del 50%+1 di affluenza alle urne. Nell’ultimo trentennio ci sono state 10 consultazioni referendarie che richiedevano il quorum e solo in due occasioni è stato raggiunto: nel 1995 e nel 2011

La maggioranza composta da Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega invita compattamente i loro elettori a disertare le urne per confermare il trend che vede i referendum abrogativi non superare il quorum; unico partito della maggioranza a non chiedere di disertare le urne è Noi Moderati, che ha chiesto ai suoi elettori di ritirare le schede e votare cinque “no”.

I partiti di opposizione invitano i loro elettori ad andare a votare ma sono divisi sul come: Alleanza Verdi Sinistra indica cinque “sì”. La segretaria del Partito democratico suggerisce, come i primi, cinque “sì”, ma l’ “area riformista”, composta in gran parte da ex renziani rimasti nel Pd, ha dato indicazione di votare “sì” ai quesiti sulla cittadinanza e sulle imprese appaltanti, ma di non ritirare le altre tre schede. Il Movimento 5 Stelle invita a votare “sì” ai quattro quesiti sul lavoro, ma lascia libera scelta su quello che riguarda la cittadinanza. +Europa, partito in prima linea nel comitato promotore del referendum, invita a votare “sì” ai quesiti sulla cittadinanza e sulle imprese appaltatrici e “no” a quelli sul Jobs Act. Azione e Italia Viva: i partiti guidati da Carlo Calenda e Matteo Renzi chiedono ai loro elettori di votare “sì” al solo quesito sulla cittadinanza e “no” a quelli sul lavoro.

A conti fatti, si assiste al paradosso secondo cui i partiti che erano all’opposizione quando governava il PD di Renzi, che ha dato alla luce la riforma del mercato del lavoro che è oggetto della maggior parte dei quesiti, invita i propri elettori a non andare a votare mantenendo così in vita quella legge tanto criticata da partiti come la Lega; il PD, partito che con i propri deputati ha permesso l’approvazione del Jobs Act, chiede ai propri elettori di impegnarsi in prima persona andando a votare sì all’abrogazione.

Si permetta a questo punto, in un momento dove l’Italia non chiede certo rigidità ma un po’ di coerenza sì, di esprimere perplessità di fronte a questo panorama a dir poco paradossale

Un PD che voglia essere preso sul serio non può, dopo 10 anni dalla sua entrata in vigore, schierarsi, come ha fatto Elly Schlein, a favore dell’abrogazione di una legge che per quello stesso partito che ella oggi guida è stato un manifesto programmatico per anni. Una destra che si professi “sociale” non può, dall’altro lato, permettere che ci siano lavoratori garantiti e lavoratori non garantiti dal reintegro da parte del datore di lavoro.

Sì, perchè il contratto a tutele crescenti prevede proprio questo: nonostante la privatizzazione del rapporto di lavoro per la maggior parte dei dipendenti pubblici – i quali, a parte eccezioni, stipulano un contratto di lavoro avente natura privatistica con la PA di appartenenza – questi non sono sottoposti al CATUC che, per dieci anni, ha costituito la nuova forma negoziale per assumere a tempo indeterminato tutti i lavoratori nel solo settore privato prevedendo una rete intricata di sanzioni a fronte del licenziamento illegittimo anzichè il reintegro del dipendente

Nè sono convinta che il crescendo di contratti a tempo indeterminato che questo governo ha con fatica costruito dipenda dall’applicazione delle tutele crescenti, in quanto prima del 2022 e dopo l’entrata in vigore della legge i contratti stabili non erano stati protagonisti di una grossa impennata.

Non si tratta di convinzione ideologica nè di votare (o, in questo caso, non andare a votare) per partito preso; votare per l’abrogazione delle tutele crescenti si tratta di un’operazione di giustizia sociale nei confronti di chi lavora, con rapporto di lavoro avente le medesime caratteristiche, indipendentemente dal settore in cui esercita la sua professione

Lo farò anche io, e non per convenienza personale.

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