Sergio Ramelli Vive, la sua storia e il nostro ricordo

Sergio

“SERGIO RAMELLI PRESENTE”. Ogni anno a Milano, il 29 di aprile, un coro di voci si alza commosso e deciso verso il cielo. E’ il giorno in cui morì il giovane militante del Fronte della Gioventù. Assassinato, ad appena 18 anni, dagli antifascisti di “Avanguardia operaia”. L’aggressione avvenne nel Capoluogo lombardo, la sua città, il 13 marzo 1975.

Sergio aveva già ricevuto numerose minacce per la sua fede politica, tuttavia era determinato a non rinunciare a quello in cui credeva. Non era facile essere un Patriota in quegli anni: le aggressioni dei gruppi di derivazione comunista erano all’ordine del giorno, sempre coperte dalla politica e scarsamente considerate dalla magistratura.

L’AGGRESSIONE

Quel 13 di marzo, come ogni giorno, Sergio uscì da scuola, prese il motorino e si diresse verso la propria abitazione. Erano poco più delle 13.00 quando giunse sotto casa, si fermò e iniziò a parcheggiare. Neanche il tempo di girarsi e gli furono addosso, con una violenza feroce. Erano in 10, armati di grosse chiavi inglesi, contro uno, disarmato. Iniziarono a colpirlo sulla testa, numerose volte, anche quando era già a terra, coperto di sangue. Dalle finestre iniziarono a gridare “basta”, “lo uccidete”. Gli assassini continuarono ad infierire fino ad accertarsi che fosse morto. I colpi erano stati così violenti da causare la fuoriuscita di materia cerebrale.

I suoi aggressori non lo conoscevano, Sergio non aveva fatto niente, né a loro, né a nessun altro. Per essere sicuri di riconoscerlo si erano portati dietro una fotografia, scattata da un suo compagno di scuola. Semplicemente era stato indicato come Fascista e in quanto tale doveva essere eliminato senza pietà. Poco importa chi fosse e cosa avesse o non avesse fatto.

IL RICOVERO

Sergio fu soccorso e incredibilmente, all’inizio, sopravvisse. Venne portato in ospedale, la sua voglia di vivere lottò contro le gravi ferite. La sua sofferenza durò ben 47 giorni, durante i quali l’odio contro lui e la sua famiglia non si placò: il fratello fu duramente minacciato, la famiglia lo stesso. L’aggressione in un certo senso galvanizzò le bestie. Sedi del MSI, dei giornali, luoghi di ritrovo dei movimenti di destra, vennero assaltati. Allo stesso ospedale di Ramelli, in quei giorni di odio, giunsero con gravi ferite molti uomini facenti parte dell’area politica patriottica.

Col passare dei giorni, dopo alcuni accadimenti, maturò addirittura la sensazione che, all’interno dell’ospedale, alcuni infermieri comunisti militanti cercassero di condurlo alla morte. Sua madre in merito disse: “Era una primavera molto calda, non solo dal punto di vista politico, e gli infermieri aprivano spesso le finestre. Io un giorno mi lamentai, chiesi cosa stessero facendo, visto che Sergio aveva già i primi sintomi di complicazioni respiratorie. Loro mi risposero che chi ha un trauma cranico ha bisogno di freddo…”. 

Sergio Ramelli morì il 29 aprile del 1975, dopo aver contratto una polmonite.

GLI ASSASSINI E IL PROCESSO

I suoi feroci assassini continuarono per anni a compiere aggressioni di stampo politico. Erano una vera e propria banda di criminali impuniti. Soltanto 10 anni dopo, nel corso di un processo a “Prima Linea”, saltò fuori un gruppo di pentiti che accusarono il servizio d’ordine di Avanguardia Operaia come colpevoli dell’omicidio di Ramelli. Solo così, uno dopo l’altro, vennero fuori i nomi dei responsabili. Furono quindi arrestati e confessarono.

Con la sentenza definitiva, i sette autori materiali dell’aggressione e la ragazza che aveva svolto i pedinamenti furono condannati (a pene abbastanza lievi) per il reato di omicidio volontario, ossia per aver agito consapevoli della possibilità che i colpi inferti provocassero la morte della vittima.

ll 16 maggio 1987, la II Corte d’Assise di Milano li ritenne inizialmente colpevoli di omicidio preterintenzionale, in quanto venne riconosciuta l’accettazione del rischio di uccidere insito nell’atto di violenza, ma non la volontarietà. Marco Costa ricevette 15 anni e 6 mesi di reclusione; Giuseppe Ferrari Bravo 15, entrambi per aver materialmente colpito Ramelli. Claudio Colosio ricevette 15 anni; Antonio Belpiede 13 anni; Brunella Colombelli 12 anni; Franco Castelli, Claudio Scazza e Luigi Montinari 11 anni.

La condanna non soddisfece il PM, che contestò il rigetto del ben più grave omicidio volontario in favore del preterintenzionale e fu depositato un ricorso. Il 2 marzo 1989, la II sezione della Corte d’Assise d’Appello accolse le richieste del pubblico ministero ma nonostante l’accusa fosse mutata in omicidio volontario, venne tuttavia riconosciuta l’attenuante del concorso anomalo, che ridusse sensibilmente le pene.

LE CONDANNE DEFINITIVE

Costa quindi passò da 15 anni a 11 e 4 mesi; Ferrari Bravo da 15 a 10 e 10 mesi; 7 anni e 9 mesi a Colosio invece che 15; 7 anni invece di 13 a Belpiede; 6 anni e 3 mesi a Castelli, Colombelli, Montinari e Scazza invece degli 11 o 12 iniziali. Insoddisfatta, la parte civile ricorse in Cassazione per ottenere il riconoscimento della premeditazione e quindi un aggravio delle pene. Il 23 gennaio 1990 la I sezione della Corte di Cassazione rigettò la richiesta e i ricorsi della difesa, confermando le sentenze di secondo grado. Costa e Ferrari Bravo tornarono in carcere, anche per via delle condanne aggiuntive a quella per Ramelli, mentre gli altri imputati poterono usufruire di un condono e di pene alternative per via della loro condizione sociale e della loro ridotta pericolosità.

Chi sono questi criminali? Sbandati? Niente affatto. Tutti esponenti di quella borghesia che probabilmente da giovani dicevano di odiare. Rampolli di buona famiglia, divenuti sanguinari nel nome dell’antifascimo e poi tornati da dove provenivano. Negli anni li troviamo come medici, ricercatori, consiglieri comunali… Pensate che uno di loro, Claudio Colosio, solo qualche giorno fa era stato inserito nella task force istituita dalla Lombardia per contrastare il coronavirus… Fortunatamente, dopo che la cosa emersa, è stato fatto un passo indietro, ma questo la dice lunga sulla serenità con la quale questi soggetti, nonostante gli orrendi crimini commessi, abbiano potuto vivere la propria esistenza.

SERGIO VIVE

La manifestazione organizzata in ricordo del Martirio di Sergio che si tiene tradizionalmente il 29 aprile viene sempre ostracizzata dalla sinistra italiana. Ancora oggi cercano in ogni modo di nascondere quanto è accaduto. Con divieti, sanzioni e veleno puntualmente sparso da certa stampa, c’è chi vorrebbe uccidere Sergio ancora una volta. Tutto questo però non sarà mai sufficiente a cancellarne la memoria: migliaia di giovani, ogni anno, continueranno a ritrovarsi a Milano, in un modo o nell’altro, per dimostrare che Sergio vive.

SERGIO VIVE non è uno slogan, non è una frase fatta. E’ Spirito che si tramanda, di generazione in generazione.

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