Scandalo della corruzione nei ministeri ucraini: quando la guerra esige anche pulizia interna
La recente inchiesta che ha travolto i vertici del governo ucraino — con le dimissioni di ministri chiave e un’indagine su presunti accordi di tangenti nel settore energetico — riporta con forza un fatto banale eppure sempre scomodo: la corruzione è un problema presente in tutti i paesi, dalle democrazie consolidate alle autocrazie.
Non è un’alibi per chi ruba né una giustificazione per chi attacca dall’esterno; è invece il terreno su cui si giocano credibilità, aiuti e futuro politico
Va però riconosciuto lo sforzo del presidente Volodymyr Zelensky: quando l’inchiesta ha toccato ambienti a lui vicini, il capo dello Stato ha sostenuto l’azione degli organi giudiziari e disciplinari e ha accettato (almeno formalmente) l’uscita di scena di ministri coinvolti.
In un paese in guerra, prendere posizione contro personaggi sospettati di corruzione è anche un segnale politico: dimostra che la lotta al malaffare, se è credibile, non si ferma davanti alla pressione esterna ma anzi viene considerata parte del progetto di modernizzazione e di adesione agli standard europei.
I numeri comparati aiutano a mettere in prospettiva il problema. Secondo il Corruption Perceptions Index 2024 di Transparency International, l’Ucraina ottiene un punteggio intorno a 35 su 100 (dove 100 indica il livello più basso di percezione di corruzione), mentre la Federazione Russa si colloca molto più in basso, con un punteggio vicino a 22. Questo non assolve Kiev dalle sue responsabilità, ma chiarisce che la corruzione non è un’esclusiva dell’Ucraina né è paragonabile in termini di contesto politico a quella che caratterizza un regime autoritario come quello russo
Occorre infine ricordare perché la questione della corruzione conta così tanto: gli uomini e le donne ucraini — civili e combattenti — sono morti e continuano a morire perché hanno scelto di difendere un diritto fondamentale: vivere liberi in uno Stato che, almeno idealmente, persegua la giustizia e processi chi commette reati, compresa la corruzione.
I dati dell’Osservatorio delle Nazioni Unite mostrano decine di migliaia di vittime civili dall’inizio dell’invasione su larga scala; dietro le cifre ci sono persone che hanno pagato con la vita la scelta di non abbandonare la propria sovranità e la propria possibilità di autogoverno. Questa verità umana dovrebbe restare il punto di riferimento del dibattito politico
Le polemiche dei filorussi — che ripetono il refrain secondo cui “i soldi degli italiani (e degli europei) finiscono nella corruzione ucraina” — trovano eco anche in certe prese di posizione europee: nel corso degli ultimi mesi politici e governi di Paesi come Belgio e Paesi Bassi hanno pubblicamente espresso preoccupazioni sulla trasparenza e hanno chiesto condizioni e garanzie per trasferimenti massicci di risorse (anche in relazione all’uso di asset russi congelati).
Non si tratta quindi di un coro isolato di accuse propagandistiche, ma di una richiesta europea di maggior controllo e di misure anticorruzione credibili prima di allentare i rubinetti finanziari
Allo stesso tempo, varie inchieste e audit hanno dimostrato come gli organismi ucraini di contrasto alla corruzione (quando lasciati operare) possano scardinare reti di malaffare, prova che la legge può funzionare.
Alla fine, la sintesi è semplice e aspra: chi accusa altri di corruzione dovrebbe avere le mani pulite o — ancora meglio — essere pronto a indicare con prove concrete le responsabilità. In altre parole, come si è sentito dire nel dibattito pubblico: «Chi è senza corruzione, scagli la prima accusa».
È una provocazione morale utile: la trasparenza non è solo un appello retorico, ma una condizione necessaria perché il sostegno esterno — che salva vite e finanzia la difesa di un paese aggredito — non venga disperso e perché il popolo che paga le tasse, dall’Italia all’Europa, possa aver fiducia in dove vanno a finire quei soldi
Leggi anche:

