Referendum, un errore che costerà caro?
Lo avevo scritto a poche ore dalla chiusura dei seggi: alla fine, avranno vinto tutti.
E così è stato, ci è bastato leggere le dichiarazioni dei leader, dei generali e dei colonnelli dei due schieramenti che si contendono il consenso di una Nazione soffocata dal caldo e dalla demagogia
Così, ha vinto il centrodestra che ha dato una legittima indicazione di voto, o non voto (perché l’astensione è pur sempre un voto politico, in un referendum abrogativo), e così d’altra parte ha vinto il centrosinistra che immagina di massimizzare i (tanti?) votanti al referendum alle prossime elezioni politiche, con il maggior partito della coalizione che numeri alla mano pensa di mettersi in tasca più voti di quelli della Meloni.
Se questa è l’analisi, e se queste sono le prospettive, anche in ottica di costruzione non già di un campo largo, ma di un progetto politico realmente alternativo all’attuale Governo, credo che la strada da qui al 2027 sarà parecchio in salita per i nostri eroi della partecipazione popolare
Il fallimento dei 5 referendum che sono costati alle casse dello Stato milioni di euro è il fallimento di una politica che dimostra di essere ridotta a consorteria e tifoseria, capace solo di polarizzare lo scontro e svilire le fondamenta di una Democrazia Rappresentativa che impone a chi siede oggi in Parlamento il dovere di dibattere, lì, e non altrove, temi complessi quali quelli del lavoro e della cittadinanza.
Andrò controcorrente e certamente oggi non va più di moda, ma io faccio ancora il tifo per il sano dibattito parlamentare di una vitale Democrazia rappresentativa che esprime la massima forma di partecipazione; democrazia che vive anche in Parlamento dove è legittima la discussione, anche aspra, lo scontro, anche ideologico, ma dove sono possibili anche la convergenza e la mediazione, nell’interesse superiore della Nazione
Ebbene sì, sono una nostalgica dei dibattiti parlamentari preceduti dallo studio dei problemi, dalle analisi in Commissione, e dalle soluzioni parlamentari dove non è peregrina la sintesi: è legittimo che la maggioranza governi, e l’opposizione si opponga, ma è in Parlamento che esiste lo spazio per la mediazione, nel superiore interesse pubblico che ogni eletto non deve mai perdere di vista.
Faccio il tifo per un Parlamento che domani faccia una legge sul fine vita, e sarò la prima a raccogliere le firme per abrogarla, quella legge che non c’è, se “fatta male”: scommettiamo che un referendum sul fine vita arriverebbe facilmente al quorum?
Io, scommetto che oggi gli italiani sono ancora capaci di appassionarsi alla partecipazione rispetto a tematiche “etiche” dove il Si o il NO sono facilmente comprensibili, e scommetto che, anche in questo tempo di astensionismo crescente, gli italiani andrebbero a votare, come si votò quando ancora la democrazia parlamentare si esprimeva con Leggi che toccavano la carne viva della gente, e penso ai referendum sul divorzio, sull’aborto, e ahimè anche allo sciagurato referendum che abolì il finanziamento pubblico dei partiti o la possibilità di potenziare l’energia nucleare (ma questi sono altri temi, che presto o tardi andranno affrontati).
Dal mio modesto angolo di osservazione, e da cittadina che non ama gli slogan ma tenta ancora di stare nel merito delle questioni giuridiche complesse (e tali erano i 5 referendum bocciati dagli italiani), ritengo che sottoporre al voto popolare i 5 quesiti dell’8 e 9 giugno scorsi sotto lo slogan dei più diritti per tutti, sia stato un errore, anche per chi quei referendum ha incautamente proposto, con l’arroganza di distribuire patenti a quanti legittimamente e nel merito hanno scelto di non seguire pedissequamente l’indicazione di voto della Ditta Shlein – Landini – Conte
Chissà cosa ne sarà, dopo questo referendum, del dibattito sullo ius soli, chissà cosa ne sarà del campo largo, visto che, se un merito questi referendum lo hanno avuto, è stato quello di rompere l’unità sindacale e allontanare la prospettiva di un centro-sinistra capace di rappresentare una reale alternativa al Governo in carica.
E chissà se assisteremo alla costruzione di una seria proposta politica capace di attrarre consenso e, soprattutto, capace di leggere una realtà complessa senza utilizzare le semplificazioni che fanno male alla democrazia e sterilizzano il dibattito.
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