Quando lo zio di Chrisitan De Sica uccise Lev Trockij a picconate

DE SICA

De Sica senior, il grande plurioscar Vittorio, regista, attore, sceneggiatore, giocatore, sposa in seconde nozze María Mercader, attrice barcellonese, da cui ha due figli, Manuel, musicista e compositore, e Christian, famoso attore. Mamma María, nata da Pablo Mercader Marina e María Salses, ha un cugino, Jaime Ramón Mercader del Río Hernández, figlio di Caridad del Río Hernández e di Pablo Mercader Marina. Genealogicamente, dovremmo intendere Ramón come cugino di Christian. Ma zio suona meglio.

Zio Ramón è una spia sovietica. Lo zio di Christian De Sica ha sfondato il cranio al rivoluzionario Lev Trockij, uno dei politici più influenti di tutto il XX secolo e oltre.

Lev Trockij, ebreo ucraino nato da un’agiata famiglia di proprietari terrieri del sud, che vivono non distante dalle coste del Mar Nero. “L’antipatico Trockij” vota la propria vita alla rivoluzione rossa, già nei suoi anni più giovani.

All’estero conoscerà il padre della rivoluzione Lenin; con lui terrà un rapporto ambivalente, sono anni in cui in seno al movimento socialdemocratico d’ispirazione marxista si delineano due correnti contrapposte fra loro: menscevichi e bolscevichi.

Stalin

Stalin il georgiano spietato contro l’antipatico Trockij. I due diventano nemici per la pelle. Non solo due uomini contro, ma due ideologie differenti in seno al medesimo partito. Lev vuole la rivoluzione permanente, cioè esportare il bolscevismo rivoluzionario al di fuori dei confini russi. Stalin, assolutamente no. È un duello politico all’ultimo sangue, vince il più feroce. Il più feroce è il georgiano d’acciaio.

Nel 1927 Trockij è espulso dal partito comunista sovietico, e nel ’29 confinato nelle remote lande kazake. Al suo nemico non basta ancora, ed espelle definitivamente l’avversario dall’URSS. Per lui, inizierà un lungo vagabondaggio. Alla fine l’ucraino errante riesce però a trovare la sua oasi. Il Messico del presidente Lázaro Cárdenas del Río si offre di accoglierlo e nel 1937 l’esule è su un transatlantico con rotta verso Tampico. Ad ospitarlo, due artisti di fama globale: Frida Kahlo e Diego Rivera.

La residencia viene ampliata, sono necessari nuovi spazi e rinforzi ai muri di cinta: Trockij è un personaggio scomodo, costantemente nel mirino, vecchi e nuovi nemici sono ovunque, le spie lo seguono, s’infiltrano, s’annidano, Stalin vuole la sua testa, Trockij si deve guardare le spalle. Ma non se ne sta zitto, anzi. Fonda la Quarta Internazionale, organizzazione in netta contrapposizione con l’ufficialità della Terza Internazionale di Iosif Stalin e del Comintern.

Trockij deve morire. L’assassino? Ramón Mercader, zio di Christian De Sica

L’eresia continua, la battaglia per la guida del comunismo mondiale, pure. Per Stalin, quell’ebreo ucraino, è una spina che dà fastidio. Va estirpata. Il dittatore, assieme ad alti membri del Politburo, firma il documento segreto per la condanna a morte del rivale. Entra in gioco il killer.

L’assassino è Ramón Mercader, lo zio di Christian De Sica. Figlio d’arte: sua mamma, Caridad del Río, sorta di figura di commissario politico famigliare, cresce i figli sotto il culto della causa marxista e di dio Iosif. Devozione assoluta alla bandiera rossa.

È durante la guerra civile che infiamma la Spagna che Ramón tramuta il suo ideale in lotta armata, imbracciando le armi contro i franchisti, falangisti, carlisti, fascisti italiani e nazisti tedeschi della Legione Condor.

È in questo periodo di battaglie iberiche che ci sarebbe stato l’incoraggiamento di Caridad affinché il figlio entrasse nelle fila segrete del NKVD Narodnyj komissariat vnutrennich del, l’imponente organo di polizia segreta dell’URSS che si ramifica all’estero, fino ai quattro angoli del pianeta.

Lev Trockij nel 1939 lascia la Casa Azul di Frida, l’ospite è ingombrante, le divergenze con il pittore Diego Rivera, marito della Kahlo, sono diventate litigio. Si trasferisce con moglie, nipote e guardie del corpo in Avenida Viena, sempre nel medesimo quartiere di Città del Messico. La sua nuova abitazione, inserita in una dimensione di dacia latinoamericana con orto, pollaio, e conigli, è difesa da alti muri di cinta, filo spinato, cavi dell’alta tensione, torrette di osservazione, gorilla con le pistole nelle fondine ascellari.

Sembra un castello metropolitano. Per espugnarlo, occorre un gruppo di fuoco di eccezionale potenza.

Il Piano A

Stalin non bada a spese ed invia una squadra composta da venti uomini. Nelle notte tra il 23 e il 24 maggio 1940 alcune auto procedono a fari spenti e a passo d’uomo tra le strade addormentate di Coyoacán. Borbottio di motori a bassi giri tra i pochi lampioni della notte deserta del sobborgo messicano. In lontananza, cani abbaiano alla luna. Le auto parcheggiano nell’oscurità dei vicoli. Scendono uomini, silenziosi, spengono le sigarette, aprono i bauli, raccolgono i mitra Thompson con i caricatori a tamburo da gangster e fanno scorta di munizioni. La squadra assassina circonda la casa-castello di Trockij.

Improvviso temporale di pallottole a Città del Messico. Fuoco, raffiche senza sosta, i muri vengono rosicchiati dai proiettili. Il portone è aperto da mani traditrici, il commando entra in cortile; sparano come furie alle finestre chiuse per la notte. Lev Trockij e la moglie Natalia si gettano sotto il letto coi capelli dritti mentre le persiane saltano, le finestre vanno in frantumi, sedie e soprammobili ballano la cucaracha di piombo.

Il nipotino si prende un proiettile nel piede. Le guardie del corpo rispondono con violenza, alcune muoiono pistole in pugno, ma salvano i Trockij. Il commando si ritira, di corsa, lasciano un tappeto di bossoli e qualche cadavere. “Mierda!” Esclama il pittore-sicario Siqueiros: hanno fallito, il piano A per ammazzare Lev Trockij è stato un fiasco totale.

Il piano A è andato in malora, luce verde per il piano B.

L’arresto di Ramón Mercader

Tocca al Piano B. Tocca a Ramón Mercader

Prima però c’è stata una lunga preparazione all’omicidio, che inizia nel 1938 nella Parigi intellettuale di dissidenti e rivoluzionari. Il castigliano, il cui nome adesso è Jacques Mornard, s’iscrive alla Sorbona, e durante la conferenza per la fondazione della Quarta Internazionale, conosce Sylvia Ageloff, una delle segretarie di Trockij. Gliela presenta l’antropologo Mark Zborowski, la milionesima spia infiltrata e che si fa chiamare Etienne. Si pensa che sia lui ad avere avvelenato il figlio di Trozkji. Mercader seduce la giovane Sylvia, abile, motivato, lei è cotta, ingenua. Sylvia è il cavallo di Troia di Ramón. La ragazza raggiunge il leader in Messico, e con lei, c’è il suo fidanzato.

La piccozza

Coyoacán, 20 agosto 1940, pomeriggio. Lo zio di Christian De Sica è ricevuto da Lev Trockij nel suo studio, indossa un abito scuro, un cappello, ha un impermeabile sul braccio. Sotto l’impermeabile, la piccozza affilata. Gli ha chiesto un poco del suo tempo per fargli leggere un documento da lui scritto. Trockij si china sui fogli, concentrato. La mano del killer s’insinua dentro l’impermeabile, stringe il manico. Ramòn chiude gli occhi, e vibra un colpo micidiale. La punta della piccozza da ghiaccio rompe il cranio di Trockij come se fosse il guscio di un uovo, ma non lo ammazza. La vittima si alza in piedi, con rivoli di sangue che gli scendono in faccia e grida. Mercader al processo ricorderà un lungo, agghiacciante.

Uno strillo che riecheggia nella Storia e nella memoria dell’assassino e che mai lo abbandonerà, come una maledizione. Tra i due è un momento di lotta bestiale. L’uomo con la testa spaccata s’avventa sull’uomo con la piccozza, e gli morde la mano come una belva ferita, con ferocia. Allertate dalle urla beduine, accorrono le guardie del corpo che atterrano e disarmano l’attentatore, e lo riempiono di botte. Stanno per farlo secco, quando colui che dovevano proteggere, appoggiato ad una parete – occhi sgranati, una maschera di sangue – ordina di lasciarlo in vita, per farlo parlare.

Lev Trockij è morto

Il nemico numero uno di Stalin è portato subito in ospedale, ma è una corsa inutile, Lev Trockij muore dopo un giorno di agonia. A Mosca, si brinda forte vaše zdorov’e! Lo zio di Christian De Sica, picconatore di teste eccellenti, finisce in una galera messicana. Condannato a vent’anni di carcere, si fa muto, non parla con nessuno, per tanto tempo nessuno conosce la sua vera identità, fino a quando la sua immagine in fotografia viene riconosciuta dai suoi vecchi compagni d’arme della guerra civil di Spagna.

L’URSS ha premura per quelli che considera i suoi eroi, incaricano della sua difesa il miglior avvocato sulla piazza, e gli garantiscono un comodo soggiorno dietro le sbarre. Ogni giorno riceve la visita di Roquelia, la sua amante. Quando viene scarcerato, ripara immediatamente a Cuba, per una vacanza e poi a Mosca, dove è decorato con la massima onorificenza sovietica, la medaglia dell’Eroe dell’Unione Sovietica, consegnatagli personalmente dal capo del KGB, l’ex NKVD.

Nel 1978, ammalato di tumore, è in un letto di una clinica dell’Havana. Ramón Mercader sta morendo, stringe la mano di Roquelia, sembra terrorizzato. Le ultime parole dello “zio” di Christian De Sica sono:

Lo sento sempre. Sento l’urlo. Sento che mi sta aspettando dall’altra parte.

 

Fonte: Il club degli insonni di Federico Mosso

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