Pasolini, cinquant’anni dopo. Il poeta che non si piegò mai
Sono passati cinquant’anni da quella notte del 2 novembre 1975, quando in un luogo dimenticato di Ostia venne trovato il corpo martoriato di Pier Paolo Pasolini.
Cinquant’anni da quella morte crudele e ingiusta, ancora avvolta nel mistero, che privò l’Italia di una delle voci più autentiche, più limpide, più scomode del suo Novecento.
Pasolini era un uomo particolare
Un uragano che travolgeva i tempi. Comunista, forse per sensibilità, ma intimamente conservatore nei valori. Libertino, ma capace di una disciplina morale ferrea, di un rigore interiore che lo rendeva simile a un luterano.
Non era un uomo da schieramento: era un uomo di coscienza. E per questo fu odiato da molti, frainteso da quasi tutti.
L’onestà come condanna
Pasolini credeva nella verità, e la verità in Italia è sempre stata un crimine.
Pagò la sua limpidezza con la vita. Pagò la sua onestà intellettuale in un tempo in cui l’onestà era sospetta. Pagò la sua libertà in un mondo che accetta tutto, tranne la libertà di pensare.
Era laico, sì, ma animato da una fede profonda, autentica, antica. Una fede che non aveva bisogno di catechismi, ma che riconosceva la sacralità dell’uomo e della vita. Perché per Pasolini la vita era il dono più alto, e l’aborto ne rappresentava la negazione più violenta.
Il coraggio di dire no
Nonostante la sinistra dell’epoca lo volesse suo, Pasolini non si piegò mai alle mode ideologiche.
Quando molti intellettuali si battevano per la legalizzazione dell’aborto, lui disse no. E lo fece con la stessa lucidità con cui aveva denunciato il consumismo e la perdita dell’identità popolare.
Per Pasolini, l’aborto non era una conquista, ma una resa. Non un gesto di libertà, ma un atto di potere: il potere di una società che si proclamava progressista ma che, in realtà, cancellava il più debole di tutti — colui che non aveva voce per difendersi.
“La legalizzazione dell’aborto,” scriveva, “è la vittoria del potere sui poveri, dei forti sui deboli, della morte sulla pietà.”
Ecco, in queste parole c’è tutto Pasolini. L’uomo che non accettava compromessi. Il poeta che non si lasciava comprare né sedurre dal conformismo.
Un rivoluzionario senza partito
Pasolini non piaceva a nessuno. Non alla borghesia, che scandalizzava con i suoi film e la sua vita. Non ai comunisti, che non gli perdonavano di vedere nei poliziotti i veri figli del popolo. Non ai cattolici, che temevano la sua libertà.
Era un uomo solo. Ma quella solitudine era il prezzo della verità.
Quando denunciava il nuovo fascismo del consumismo, quando vedeva nell’omologazione culturale l’inizio della fine dell’Italia contadina e povera che amava, nessuno lo ascoltava davvero. Oggi, rileggendolo, si capisce che aveva ragione.
Un profeta dell’Italia che non c’è più
Pasolini non fu un santo. Ma ebbe una qualità che oggi sembra sparita: la coerenza.
Viveva come scriveva e scriveva come pensava. Era duro, spietato, ma sincero. Credeva nel popolo, nei ragazzi di borgata, nelle madri, negli ultimi. In loro vedeva una purezza che la società dei consumi stava distruggendo.
Per questo la sua voce resta necessaria. Perché ci ricorda che la libertà non può essere disgiunta dalla responsabilità, e che la vita, ogni vita, è sacra.
Pasolini non era contro l’aborto per bigottismo, ma per amore. Per un amore totale, disperato, verso l’uomo. Perché sapeva che quando una società comincia a giustificare la morte del più innocente, quella società ha già perso la propria anima.
Cinquant’anni dopo
Cinquant’anni dopo la sua morte, il mistero resta, ma la sua voce continua a parlare.
Pasolini ci manca perché manca la sua sincerità, il suo coraggio di dire no, la sua ostinazione nel cercare la verità anche quando feriva.
In un’Italia che ha smesso di interrogarsi, che preferisce dimenticare, lui resta lì, come un faro in un mare di nebbia.
Pasolini, l’uomo che la sinistra rinnegò e la destra non seppe comprendere.
Pasolini, il poeta che gridò che la vita è sacra.
Pasolini, l’intellettuale che volle restare libero, anche a costo di morire solo
Perché in fondo, lui lo sapeva: chi dice la verità in un Paese abituato alla menzogna, non può che finire sulla croce.
