Pamela e Iryna: il silenzio delle nostre coscienze
Siamo un Paese che si illude di essere civile, ma che non sa più difendere le proprie donne.
Davanti al funerale di Pamela Genini, 29 anni, uccisa brutalmente a Milano dal suo compagno, il Paese si ferma
Una bara bianca, un mazzo di fiori, il silenzio di una comunità intera. E dentro quel silenzio, la consapevolezza che siamo di fronte all’ennesimo femminicidio, all’ennesima vita spezzata.
Ogni volta ripetiamo le stesse parole: “basta violenza”, “serve una rivoluzione culturale”, “bisogna educare gli uomini”.
Ma la verità è che non basta più parlare. Qui si tratta non solo di cambiare la cultura, ma di punire e reprimere con fermezza chi commette crimini così aberranti.
Le leggi di un Paese troppo buono
Siamo un Paese di buonisti e cavillosi, che si compiace della propria presunta civiltà giuridica, ma che nella pratica si mostra impotente e incoerente.
Garantiamo tutto a tutti, anche a chi ha distrutto vite innocenti.
Continuiamo a dare lezioni al mondo, ma tolleriamo lo sconcio di chi uccide e un giorno può tornare libero.
Questa non è civiltà: è ipocrisia di Stato.
L’America e la lezione della giustizia
C’è un Paese, dall’altra parte dell’oceano, che — con tutti i suoi difetti — resta fedele al principio che la vita innocente vale più di quella colpevole: gli Stati Uniti d’America.
Una repubblica occidentale e liberale che, nel solco dei suoi padri fondatori, conserva ancora il senso del dovere e della responsabilità personale.
Lì, la vita delle donne conta davvero. Lo racconta bene Francesca Totolo nel suo libro, tanto criticato da chi non l’ha letto: un invito a riscoprire i valori della libertà e del rispetto della vita.
Iryna Zarutska: la giustizia che non trema
E proprio dall’America arriva in questi giorni una notizia che fa riflettere.
Il killer di Iryna Zarutska, rifugiata ucraina uccisa nel 2023, è stato condannato alla pena di morte.
Iryna era fuggita dalla guerra, in cerca di pace, ma ha trovato la violenza in un Paese che pure le aveva aperto le porte.
Eppure, di fronte a quel delitto, la giustizia americana non ha esitato.
La società si è schierata con la vittima, non con l’assassino.
Un’iniezione letale — fredda, definitiva — ha chiuso per sempre la storia di un uomo che aveva scelto di essere un assassino.
La sua vita non valeva più nulla. Non per razza o per ideologia, ma per la semplice, terribile verità delle sue azioni.
Forse dovremmo imparare, non insegnare
Noi italiani, invece, preferiamo le parole alle azioni.
Ci indigniamo per un giorno, poi archiviamo tutto.
Permettiamo a chi ha distrutto esistenze di riscrivere la propria, di sorridere davanti alle telecamere, di ottenere sconti di pena.
Forse è tempo di smettere di sentirci migliori e cominciare a imparare.
Perché la giustizia non è vendetta: è difesa della vita.
E un Paese che non difende le sue Pamela, le sue Iryna, non può più dirsi civile.
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