Padrona Morgana: ho incontrato una “mistress”

morgana

Padrona Morgana è il nome d’arte che si è scelta. Il suo vero nome, che non rivelerò, è un altro. Normalissimo. Significherebbe speranza, nella sua etimologia. La incontriamo in un bar, vicino a dove abita. Tra le tante donne sedute ai tavoli, nessuno potrebbe indovinare il suo ruolo.

È distinta, posata. I capelli biondi, ben pettinati. Il volto è molto bello, dai tratti regolari, gli occhi verdi molto profondi. Incredibilmente introspettivi. Non ha nulla di volgare o di forzato. Indossa una graziosa camicia rosa con una gonna nera, magari un po’ audace.

Ma non ostenta. Resta impeccabile al suo posto. Composta. Gentile nei modi. Parla con naturalezza del suo lavoro, che rappresenta anche una vera e propria vocazione.

D: Non credi che la tua persona sia più interessante di padrona Morgana?

R: Non è possibile (sorride) sono la stessa cosa. Padrona Morgana non è una maschera. È come sono io.

D: Non si direbbe, in questo momento non sembri rappresentare una dominatrice.

R: Dipende da cosa pensi sia una dominatrice. Credi che sia solo un fatto stereotipato di frustate, catene e cose del genere? La dominazione è prima di tutto un fatto mentale. Viene da noi stessi. Ad esempio da uno sguardo.

D: Ma il BDSM nell’immaginario collettivo è una tortura crudele…

R: Prima di tutto, lo pratico questo solo con persone consenzienti, capaci di intendere e di volere e maggiorenni. Le ascolto molto, mi confronto con loro prima di una seduta. Non ci sono regole standard che valgono in tutti i casi. Non è una pratica statica e banale. È molto stereotipata, ma nella realtà è una cosa molto diversa.

Abbattere i pregiudizi

D: Molto diversa ma non è una cosa che viene ritenuta normale?

R: Chi stabilisce i canoni della normalità nella società moderna? Tante persone venivano, ed ancora oggi vengono, discriminate con profonda ingiustizia per le loro scelte sessuali. Bisogna fregarsene di giudizi superficiali e dati senza conoscere. Io non nascondo nulla. I miei figli sono grandi. Sanno benissimo della mia attività.

D: Crede che ci siano delle limitazioni ancora forti in questo paese per chi fa questa professione?

R: Sì. In parte dettate dalla morale delle persone, in parte anche dettate dal fatto che non siamo riconosciute giuridicamente. La nostra è una forma di arte. In America nessuno processerebbe una mistress. Lì la libertà ha un altro significato.

D: Ma ti farebbe felice pagare le tasse per questa tua professione?

R: Non sono io che faccio problemi. È lo stato che fa finta che non esistiamo. Perché non ci regolamenta? Io non voglio fare false dichiarazioni di alcun genere. Esistiamo e chiediamo da tempo di essere riconosciute. Lo stato lo faccia, noi non avremo problemi a quel punto ad ottemperare a tutti gli obblighi di legge.

Niente sesso

D: Ho letto nel suo sito che non fai sesso con i tuoi clienti.

R: Il BDSM è una pratica molto più complessa ed interessante di come viene descritta. Può prevedere moltissime cose, ma le mie sedute sono tarate su una persona. Non su clienti ma su persone. Io li chiamo i miei schiavi. Ma non va dimenticato che sono persone che lo scelgono liberamente. Nessuno è costretto a fare niente che non voglia.

D: Schiavo non è una posizione auspicabile nel mondo…

R: Qui la questione riguarda sempre il controllo. Dei ruoli. Non si costringe una persona a vivere in uno status sociale che non vuole, come l’antica schiavitù. Si tratta di una questione diversa che riguarda una pratica interpersonale. Ci sono moltissime persone, moltissime coppie che adorano questa condizione.

D: Adesso non mi venire a dire che qualcuno si augura di essere uno schiavo?

R: Non è così spiacevole venerare una donna come me (sorride). Magari stai giudicando a priori una condizione, nella quale potresti addirittura ritrovarti a tuo agio.

D: Non credo…

R: E come fai a dirlo ? Agisci sulla base di opinioni precostituite, in base a un sentito dire. Non sei guidato da quello che puoi giudicare in base all’esperienza, ma da concetti costruiti da altri.

D: Ma qui non stiamo parlando di me.

L’intervista continua…

 

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