Oceaniche manifestazioni in Siria contro le nuove sanzioni USA

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Oceaniche manifestazioni in Siria contro le nuove sanzioni USA

 

 

“Da oggi inizia una campagna di sanzioni contro il regime di Assad in base al Ceasar Act. Autorizza dure sanzioni economiche per far sì che il regime di Assad e gli stranieri che lo facilitano siano ritenuti responsabili per i loro brutali atti contro il popolo siriano”. Lo twitta con una gran faccia tosta il segretario di Stato Mike Pompeo, sottolineando che “ci saranno molte altre sanzioni fino a quando Assad e il suo regime non metteranno fine alla brutale guerra. Il provvedimento, firmato dal presidente Donald Trump sei mesi fa, si basa sul principio della necessità di proteggere i civili dai bombardamenti aerei russi e governativi e dalla repressione carceraria di dissidenti politici.”

UN GIOCO SPORCO

In poche parole, gli Stati Uniti tornano ancora una volta in campo a sostengo degli Jihadisti. Pompeo è odiosamente in malafede: ad iniziare la guerra non è stato Assad, ma i gruppi fondamentalisti, armati e finanziati proprio dagli Usa e dai loro alleati nella Regione, Turchia ed Arabia Saudita in primis. Tentare di separare il popolo siriano dal suo Governo è semplicemente ridicolo: sono a tutti gli effetti una cosa sola. Resistere ad un’aggressione terroristica come quella in corso da nove anni, senza un ampio consenso popolare, sarebbe stato letteralmente impossibile per qualsiasi presunto regime.

Il Governo siriano, peraltro, vuole vedere la fine del conflitto più di chiunque altro, per poter finalmente iniziare la ricostruzione del Paese. La narrazione americana, ancora una volta, è costruita sulla menzogna. Gli aerei russi e governativi non bombardano i civili ma i terroristi. Se l’Isis è stato cancellato dalla cartina geografia della Siria lo si deve proprio a queste operazioni.

In sintesi, siamo di fronte ad un ulteriore, feroce, atto di ritorsione nei confronti del popolo siriano, dettato dalla frustrazione statunitense rispetto all’andamento della disputa militare. Il concetto di guerra surrogata messo in campo in terra siriana, tanto da Obama quanto da Trump, nonostante ingenti investimenti economici, si sta risolvendo con una loro sconfitta. Queste ulteriori sanzioni rappresentano il tentativo di spostare il conflitto da un campo di battaglia ad un altro.

LE NUOVE SANZIONI

Il “Caesar Act”, ufficialmente, colpisce il presidente Bashar Assad, il suo entourage e gli apparati di potere. In realtà prende di mira la popolazione. Washington sta cercando di aggravare le condizioni di vita del popolo siriano, tentando di indurlo ad innescare una sollevazione contro la presidenza e il governo. Trump avrà poteri più ampi per congelare i beni di chiunque abbia a che fare con la Siria, indipendentemente dalla nazionalità.

La legge, inoltre, considera la Banca centrale siriana come una sorta di «struttura di riciclaggio». La cosa non stupisce, visto che la Repubblica Araba di Siria è uno dei pochi stati nel mondo ad avere una banca nazionale pubblica che batte moneta completamente sovrana. Un modello virtuoso, intollerabile per la finanza internazionale che detta l’agenda politica ai Paesi occidentali sulla base di logiche usurocratiche.

Le sanzioni puntano anche a scoraggiare gli investimenti in Siria, così da ostacolarne la ripresa e la ricostruzione. Il “Caesar Act” prevede anche controllo rigido sugli aiuti delle Nazioni unite e delle Ong per garantire che «non stiano avvantaggiando»  il presidente Assad. Queste, come è facile intuire, sono in realtà ritorsioni che colpiscono la popolazione, “colpevole” di combattere da 9 anni per non diventare uno zerbino delle amministrazioni a stelle e strisce. Si tratta di una strategia punitiva ormai nota: l’abbiamo vista nella seconda guerra mondiale con i criminali bombardamenti su Dresda e le bombe atomiche sul Giappone.

“Trump pur di abbattere il presidente Assad è disposto a scatenare nuovamente il caos in Siria e a portarci alla fame.”

A dirlo sono i siriani, quelli veri, scesi in piazza a milioni in questi giorni per manifestare contro le sanzioni e a sostegno del Presidente Assad. Negli ultimi tre anni i ribelli sono stati cacciati dai principali centri della Siria, fatta eccezione per la provincia di Idlib, dove grazie al sostegno della Turchia (col benestare degli Usa) minacciano ancora la popolazione civile. In virtù di questi successi la gente sperava che l’incubo fosse arrivato all’epilogo. Il rinnovato, violento, accanimento di Trump costringerà i siriani ad affrontare nuove sofferenze.

In ogni caso, le mobilitazioni di piazza avvenute in tutte le maggiori città siriane, dimostrano che la Siria non è disposta a cedere la propria libertà. Gli Usa possono affermare ciò che vogliono: Assad è il legittimo Presidente della Repubblica Araba di Siria, lo dimostra l’affetto della gente. Delle sanzioni economiche, per quanto criminali, difficilmente raggiungeranno un obiettivo mancato da centinaia di migliaia di miliziani dell’Isis e di al-Qaeda.

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