Il discorso che Draghi ha tenuto davanti ai Senatori non mi è piaciuto. Per il tono provocatoriamente imperioso. Per l’assoluta mancanza di una riflessione critica sulle preoccupanti condizioni dell’Italia. E perché, nella sostanza, si è limitato alla formula: o vi sottomettete tutti al Premier o ve ne andate a casa. Con l’implicita e perfida precisazione che tale sottomissione deve essere comunque convinta ed entusiastica. Specie da parte della maggioranza. E ciò in nome e in ragione del dogma della coesione, indispensabile alla stabilità del Paese. Coesione che non può pertanto continuare ad essere sfilacciata dalla cattiva abitudine di voler dibattere nel merito dei provvedimenti proposti o varati dal Governo. Cosa che finisce con l’indebolire l’azione della maggioranza governativa anche sul piano internazionale. Dove l’Italia è in prima linea nel fermare niente po pò di meno che i piani aggressivi del Presidente Putin.
Approvare tutti i provvedimenti senza discussioni
Da qui l’invito a soddisfare la domanda di stabilità ricostruendo un patto di coesione. Come? Approvando il prima possibile tutti i provvedimenti governativi senza troppe discussioni. Onde proseguire il cammino intrapreso verso le magnifiche e progressive sorti. E poi, naturalmente, continuando a sostenere e ad armare l’Ucraina. Senza farsi distrarre dal calcolo dei danni economici e sociali derivanti all’Italia dalle insensate sanzioni imposte alla Russia. Poiché sarebbe cosa da disfattisti. Nessuno deve poi azzardarsi a mettere in discussione il ruolo dell’Europa. Né tantomeno quello della Nato.
Perché questo Governo si identifica pienamente nell’Unione Europea e nella Alleanza Atlantica. Fino a riassumersi in esse. A prescindere evidentemente dell’interesse nazionale. Dal che è facile intuire chi siano i veri sponsor e padroni del Presidente del Consiglio. Con buona pace dell’”Ombra che cammina” sul Colle. Insomma, secondo Draghi, il Parlamento dovrebbe semplicemente limitarsi ad «accompagnare» il Governo del Premier.
La costituzione prevede ben altro
Peccato che la nostra Costituzione repubblicana preveda ben altro a proposito del rapporto tra esecutivo e assemblee elettive. Ma, si sa, la competenza economica non è di per sé automaticamente estensibile al diritto costituzionale. La verità è che siamo entrati in una nuova fase politica ed istituzionale. Lontana anni luce dai governi di unità nazionale del passato. Fondati sul riconoscimento politico della centralità del Parlamento e del ruolo positivo dell’Opposizione. La quale -è bene ricordarlo!- concorre sempre e comunque alla “governance” (che è cosa diversa dal governo) di un Paese. Perlomeno in un sistema costituzionale democratico. Draghi dice di voler ricostruire le condizioni originarie della sua peraltro mai perduta maggioranza. Ma in realtà punta a superarle attraverso un sostanziale rafforzamento dei suoi poteri di guida e di indirizzo. Evocando sobriamente quei “pieni poteri” del Papeete di etilica memoria.
Una svolta in senso autoritario
Col suo intervento al Senato Draghi ha dato effettivamente una svolta in senso autoritario. Proponendo di fatto un nuovo modello istituzionale. Fondato sulla centralità dell’esecutivo, tutto coeso attorno alla figura del Presidente del Consiglio. E dove l’Opposizione non ha né voce né titolo. É il Governo del Premier. Con il Parlamento a fargli da applausometro. Piaccia o no, oggi è nato un nuovo autoritarismo: il draghismo. L’autoritarismo che piace alla gente che piace. Alle élites del potere, della finanza e dell’informazione. E persino, unica eccezione consentita, ad un povero clochard intervistato dalla Agenzia Adnkronos. Fanno perciò sorridere le affermazioni pronunciate a conclusione del discorso in Senato. Quando Draghi ha parlato della necessità di combattere le interferenze degli autoritarismi nella politica e nella società italiana. A meno che non si sia trattato di un lapsus freudiano…. Paolo Amato
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