Marcello Veneziani e la lotta contro il pensiero unico

Marcello

Venerdi scorso il Pisa Scotto Festival ha ospitato Marcello Veneziani, che presentava il suo ultimo libro La leggenda di Fiore.

Personalmente, ho avuto anche il piacere di partecipare alla cena che ha fatto seguito alla conferenza e ne ho approfittato per fare una breve intervista video a Marcello, che apparirà mercoledi prossimo come parte della nostra rubrica Mezza Settimana.

Frattura culturale

Tra le altre cose, ho domandato a Marcello cosa pensasse a proposito della frattura che si è creata nella nostra epoca tra cultura popolare e cultura accademica. La risposta di Marcello è stata puntuale ed articolata, ed in particolare mi ha colpito l’affermazione da lui fatta in base a cui l’unico punto di contatto che rimane tra cultura academica e cultura popolare è il politicamente corretto “un fenomeno culturale becero e triste, un canone culturale obbligato somministrato dall’alto ed eseguito a livello globale”.

Queste frasi mi hanno fatto riflettere: la sinistra nostrana vorrebbe criminalizzare attraverso il Ddl Zan, in maniera simile a quanto è stato già fatto in altri paesi europei, l’espressione di concetti situati al di fuori del politicamente corretto. In questo modo, l’imposizione del pensiero unico cesserebbe di essere un fatto meramente culturale ma otterrebbe la forza di un obbligo legale. Il concetto espresso da Marcello si rafforzerebbe ulteriormente. Il sopruso diventerebbe completo.

1984

Si realizzerebbe finalmente una società simile a quella profetizzata do Orwell in 1984, dove l’autorità dell’Oceania è programmaticamente orientata ad imporre un linguaggio inadatto all’espressione delle potenzialità critiche del pensiero. Come Orwell sapeva bene, “chi controlla il passato, controlla il futuro”. Da qui la costante rivisitazione della storia sotto la lente d’ingrandimento del politicamente corretto, fino ad arrivare alle assurde falsificazioni dell’afrocentrismo. Inoltre, noi non abbiamo neanche bisogno dei teleschermi installati in casa, visto che portiamo costantemente nelle nostre tasche il più capillare sistema di controllo mai concepito nella storia umana, ovvero il celluare.

Comunque, per tornare al linguaggio, l’imposizione del politicamente corretto rappresenta l’applicazione pratica del determinismo linguistico: non solamente il pensiero influenza il linguaggio, ma il linguaggio influenza il pensiero. Per questo, obbligare tutti ad esprimersi dentro i canoni del politicamente corretto facilita l’imposizione del pensiero unico.

In 1984 esiste la neolingua, Newspeak nell’originale, una rielaborazione dell’inglese (Oldspeak) creata al fine di limitare la possibilità di esprimere pensieri difformi da quelli ufficialmente approvati. Orwell fa esprimere con chiarezza disarmante questi concetti al linguista Syme: “Entro il 2050, prima, probabilmente, tutta la vera conoscenza dell’Oldspeak sarà scomparsa. L’intera letteratura del passato sarà stata distrutta. Chaucer, Shakespeare, Milton, Byron: esisteranno solo nelle versioni neolingua, non solo trasformate in qualcosa di diverso, ma in realtà contraddittorie rispetto a ciò che erano un tempo. Anche la letteratura del Partito cambierà. Anche gli slogan cambieranno. Come si potrebbe avere uno slogan come “Libertà è schiavitù” quando il concetto di libertà è stato abolito? L’intero clima di pensiero sarà diverso. In effetti, non ci sarà alcun pensiero, come lo intendiamo ora. Ortodossia significa non pensare, non aver bisogno di pensare. L’ortodossia è incoscienza.”

Colpisce in particolar modo l’ultima frase, visto che coloro che vorrebbero imporci il pensiero unico sono perfettamente coscienti di quest’equivalenza.

Conclusioni

Ho chiesto a Marcello Veneziani in che modo possiamo lottare contro tutto ciò. Lui mi ha risposto che la realtà prevarrà contro la costruzione artificiosa e artificiale del pensiero unico, ma che è dovere di ogni persona impegnata in campo sociale, politico, culturale aiutare il processo.

Ed è proprio per questo che noi tutti continuiamo a scrivere, a leggere, a studiare, a realizzare video ed eventi culturali: solo così possiamo trasformare gli strumenti della schiavitù negli strumenti del riscatto.

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