L’Umanità rischia più del clima

“Fàmose ‘sti du’ passi per sarvare er monno”, avrebbe detto Trilussa, nonno di Osho, per riassumere la marcia planetaria di venerdì contro l’inquinamento globale. Il nesso che c’è tra lo sciopero giovanile e il clima da salvare è lo stesso che può esserci tra un rito vudù e la salvezza del mondo. Anzi i riti vudù sono più efficaci e attendibili di queste marce, la cui vera funzione è fare movimento, additare nemici politici (quasi sempre conservatori e sovranisti) e sfangare una giornata a scuola. Certo, è meglio che i ragazzi si occupino del clima piuttosto che sempre e solo del proprio smartphone e che si mobilitino per salvare il mondo anziché rovinarsi la vita con le proprie mani, per procurarsi fumo, polvere ed ebbrezze narcisistiche.

A me fanno simpatia quei ragazzi che si ritrovano per strada a difendere la terra, ma mi chiedo: quanti di loro alzano gli occhi dal display per vedere il mondo, quanti si soffermano a guardare le stelle, a godersi un’alba o un tramonto, ad amare il mare, la campagna, la montagna? Quanti di loro, magari causa nostra, vivono in un altro pianeta, scollegati dalla storia, dalle altre generazioni, dal passato e dal futuro, da ogni legame comunitario e da ogni apertura al cielo?

Magari fosse così facile e così allegro risolvere i problemi del mondo; una marcia due slogan tre striscioni, e la coscienza globale è a posto. È irrealistico indicare obbiettivi così vasti e indefiniti, additare problemi globali e lontani, e scaricare i guai del mondo sugli altri, i generici potenti della terra, per dimenticare poi la vita che è a noi più vicina, i problemi km.0.

Trovo grottesco che una ragazzina inventata dalla Macchina Mondiale del Racconto Globale a Senso Unico inveisca con ignoranza pari ad arroganza contro il mondo intero per salvarlo, e accusi gli Stati, i Capi, gli scienziati, gli adulti in generale. Con tutti i bambini venduti, sfruttati, schiavizzati, stuprati nel mondo, non è esagerato che una ragazzina svedese, ascoltata nei massimi consessi, rinfacci loro di aver osato rubarle e rovinarle l’infanzia? Che dovrebbero dire i ragazzini di Bibbiano a cui hanno rubato davvero con l’infanzia pure la famiglia e i loro genitori? Trovo poi grottesco che una manifestazione del genere trionfi in Nuova Zelanda o in Canada ma non abbia la minima traccia in Cina o nei paesi più grandi che inquinano più di tutti. Scusate, ma questo ragazzismo escatologico non è populismo allo stato puro? Che pena la pubblica istruzione in mano a un piccolo demagogo che come suo primo atto invita a zompare la scuola e pone sul Ministero uno striscione ambientalista come se fosse una scuola okkupata. La priorità nella scuola è l’ignoranza, non le merendine.

Detto questo, reputo realmente grave la situazione del pianeta, non mi accodo affatto a chi pensa che il mondo, gli stati, le aziende, il capitalismo vadano nella direzione giusta e obbligata, a cui è impossibile sottrarsi. Non sono tra i fautori del Modello Occidentale industriale e consumistico basato sull’espansione illimitata dei commerci, dei consumi, dei desideri e dello sviluppo. Credo che si debbano al contrario riscoprire i limiti, darsi delle regole, arginare la sete sconfinata di profitto e di sfruttamento. E per farlo credo che si debbano auspicare svolte politiche in grado di restituire sovranità alla politica e ai popoli, agli interessi generali, agli stati nazionali e ai decisori forti. Non credo infatti che basti l’autocoscienza dell’umanità o addirittura l’auto-redenzione etica ed ecologica del turbo-capitalismo e della tecnologia, come pensano duecento CEO e i media appresso. Occorrono argini reali che possono porre solo gli stati, i poteri sovrani, coi limiti da rispettare e i soggetti politici capaci di decisione, visione e strategia.

Ma se vogliamo mettere in discussione il modello di sviluppo dobbiamo avere il coraggio di andare più a fondo. L’utopia dei consumi illimitati nasce in una società dei desideri illimitati e senza confini; la rottura dell’equilibrio tra l’uomo, la società e l’ambiente non si esaurisce solo alle emissioni nocive e al clima. Ma è un modello globale che considera gli uomini non più come cittadini o persone ma come utenti, clienti, consumatori sfrenati di un mondo globale. Un potere del genere, lo notava già Pasolini nei primi anni Settanta, non vuole che la gente risponda ad altri valori e coltivi il senso del limite, non vuole credenti, patrioti, padri, madri ma solo consumatori; intercambiabili, influenzabili, sradicati, nomadi e alienati.

La fabbrica globale che ha lanciato il marchio Greta nel mondo è la stessa che veicola modelli e valori fondati sullo sradicamento planetario, sulla libertà come desiderio illimitato e istiga a rimuovere i legami famigliari, religiosi, naturali e territoriali e sfondare ogni confine. La stessa ideologia che vuol salvare l’ambiente incita a superare la natura umana e a sancire che l’uomo non è ciò che la natura ha generato tramite i suoi genitori ma ciò che vuole essere. Ciascuno è figlio di se stesso e si sceglie la vita, la morte, il sesso, il corpo. Non è il lato b della stessa ideologia consumista che viene criticata sul piano ecologico? Non c’è un nesso assai stretto tra i due aspetti?

La distruzione dell’ambiente non è il primo e nemmeno il più grave dei problemi: c’è la disumanizzazione in atto, c’è l’alienazione e il trionfo degli automi; e c’è la perdita dell’umanità per eccesso e per difetto di natalità. Anzi per essere più precisi, l’umanità muore d’eccesso di natalità e la civiltà muore per difetto. Voi dite che di questo passo col surriscaldamento globale perderemo il pianeta. Ma vi dice niente l’aumento vertiginoso, esponenziale delle nascite in Africa e nel sud del mondo, il dato che l’umanità è triplicata nell’arco della vita di una persona; e, di contro, non vi dice nulla la nostra denatalità? Che dici, Greta, di un altro sciopero globale contro lo scompenso demografico che distruggerà l’umanità prima del degrado ambientale?

MV, La Verità 28 settembre 2019

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