L’ipocrisia di chi protesta per Gaza e disprezza l’Occidente
C’è una parte della sinistra che continua a sfilare in piazza con bandiere e megafoni, gridando “pace”, ma agendo con rabbia. Che dice di difendere i popoli oppressi, ma finisce immancabilmente per attaccare l’Occidente e i suoi alleati.
È la stessa sinistra che non riesce a riconoscere, per pregiudizio o ignoranza, il ruolo fondamentale degli Stati Uniti e di Donald Trump nel cercare di costruire un equilibrio duraturo in Medio Oriente, come dimostra oggi il piano di pace in 20 punti e il patto firmato tra Israele e Hamas — la prima vera intesa concreta dopo mesi di guerra.
Un accordo storico che smonta la propaganda
L’intesa, annunciata a inizio ottobre e sostenuta da Washington, prevede un cessate il fuoco, la liberazione di ostaggi, il parziale ritiro israeliano da Gaza, e l’apertura di corridoi umanitari sotto controllo internazionale.
È solo la prima fase, ma segna un passaggio decisivo: Hamas ha accettato di negoziare e di consegnare parte del proprio arsenale, riconoscendo implicitamente che la via militare non è più sostenibile.
Questo risultato, frutto della pressione diplomatica americana e del piano multilaterale voluto da Trump, dimostra che la pace non si ottiene con i cortei, ma con la forza, la diplomazia e la visione strategica
Eppure, da noi, una parte rumorosa della sinistra continua a ignorare tutto ciò, preferendo il comodo racconto della “resistenza palestinese” contro “l’imperialismo occidentale”.
Un copione vecchio, stanco, e ormai smentito dai fatti.
Il piano Trump in 20 punti: realismo e responsabilità
Il piano in 20 punti lanciato da Trump a fine settembre, e ora parzialmente in attuazione, è l’unico progetto strutturato che tenta di restituire stabilità e dignità a Gaza senza consegnarla nuovamente al terrorismo.
Tra i punti principali:
● lo smantellamento delle infrastrutture militari di Hamas,
● la creazione di un’autorità transitoria internazionale per la gestione di Gaza,
● programmi di ricostruzione e sviluppo economico sostenuti dagli Stati Uniti e da Paesi arabi moderati,
● garanzie di sicurezza per Israele e un percorso graduale di autonomia palestinese basato su istituzioni civili e non più paramilitari.
Un piano complesso, certo, ma realistico. Non un sogno ideologico, bensì una road map diplomatica
E proprio per questo, viene osteggiato da chi preferisce lo slogan all’azione, l’indignazione al risultato.
L’attivismo dell’inutilità
In Italia, intanto, prosegue l’attivismo sterile di chi manifesta “per Gaza” bloccando porti, autostrade e scuole.
Scioperi proclamati da sindacati politicizzati e cortei che finiscono per danneggiare solo gli italiani — non certo i civili palestinesi.
Un paradosso: mentre gli Stati Uniti costruiscono accordi e liberano ostaggi, da noi si distruggono vetrine, si lanciano vernici, si paralizza il Paese.
È la solita “solidarietà performativa”: nessun effetto concreto, tanto rumore e zero sostanza.
Gli Stati Uniti come bersaglio ideologico
Per la sinistra radicale, l’America resta sempre il nemico di comodo.
Non importa che sia proprio Washington a mediare le tregue, a garantire la sicurezza dell’Europa, a investire nella stabilità dei Balcani o a fermare la deriva iraniana.
Niente di tutto ciò entra nella narrazione di chi, da decenni, vive di antiamericanismo d’istinto.
E così, mentre Trump tenta un piano di pace concreto, in Italia e in Europa molti preferiscono insultare l’alleato che tiene in piedi la nostra libertà.
Occidente e verità
Difendere Israele, riconoscere il ruolo degli Stati Uniti e valorizzare la mediazione americana non significa essere “succubi”.
Significa capire da che parte stare: quella della civiltà, del diritto, della libertà religiosa e politica.
Il piano in 20 punti e l’accordo firmato tra Israele e Hamas non sono la fine del conflitto, ma un segnale chiaro che la forza e la fermezza, se accompagnate da diplomazia, funzionano più di mille manifestazioni di piazza.
Chi oggi continua a negare tutto questo, insultando Trump e l’America, o bloccando il Paese “per Gaza”, mostra solo fraziosità e inconsapevolezza storica.
Perché la pace, quella vera, non la costruiscono i cortei né le vernici sui muri:
la costruiscono le idee chiare, la leadership, e la capacità — che l’Occidente ha e deve ritrovare — di difendere se stesso.
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