L’Ambasciatore

Ci sono stati i “terraioli”, di cui le scuole italiana e spagnola hanno rappresentato l’avanguardia.

Ci sono stati gli australiani, primattori della tradizione anglosassone, protagonisti sull’erba.

Ci sono stati i combattenti, come l’intramontabile Jimmy Connors, idolo come nessun altro del ‘catino’ rumoroso di Flushing Meadows durante l’Open degli Stati Uniti.

Ci sono stati i rivoluzionari, quelli che hanno servito-risposto-attaccato-difeso sempre in anticipo: capostipite il kid di Las Vegas Andrè Agassi.

Gli scolastici, come Ivan Lendl…dotato di un notevole fisico e di un dritto potente, a lungo numero 1 ma forse mai riconosciuto tale dai tifosi, seppur con numeri e statistiche di valore assoluto.

I bombardieri, come Jim Courier…che per sua stessa ammissione impugnava la racchetta come una mazza da baseball.

I regolaristi, capaci di adattarsi ad ogni superficie come camaleonti, tirando fuori quasi sempre la prestazione,a volte la perfezione. Non vi viene in mente la scuola svedese, con il grandissimo Mats Wilander?
E – soprattutto – con il leggendario Borg?

I talentuosi del “serve and volley”, incantatori a Wimbledon e non solo…il precoce ed esplosivo Boris Becker, l’elegantissimo Stefan Edberg, l’inimitabile John McEnroe.

Il genio e sregolatezza di Ivanisevic…

Un campione fantastico come Pete Sampras, vincitore di ben sette titoli sul prato più famoso del mondo…eppure di lui ricordiamo le lacrime con cui giocò e vinse un incontro a Melbourne, col suo allenatore Tim Gullickson malato e che di lì a poco sarebbe venuto a mancare…il pubblico sulle tribune – commosso dal suo pianto ormai costante fra un punto e l’altro – urlava “Fallo per Tim!” .

C’è chi ha realizzato due volte il Grande Slam, il mitico Rod Laver nel 1962 e nel 1969…impresa mai riuscita, neanche una volta, ad altri nell’era professionistica.

La miglior risposta del circuito, l’attuale numero uno della classifica mondiale Novak Djokovic: l’equilibrio mentale forse più solido di sempre, fortissimo nei momenti decisivi come ha più volte dimostrato in carriera.

Il lottatore più competitivo mai visto su un campo da tennis, uno che gioca come se combattesse sul ring o dentro la plaza de toros: Rafa Nadal, forse il campione più completo di sempre, nel mix efficace di fisico, atletismo, tecnica e voglia di vincere.

Poi c’è Roger Federer.
38 anni oggi

Per definire la misura di quest’uomo non basta il tennis; senza remore si può dire che non sia sufficiente la categoria dello sport.

Un atleta che è da collocare fra i cinque più grandi sportivi di ogni tempo, insieme a mio giudizio a fenomeni come Pelé, Mohammed Alì, Michael Jordan e Usain Bolt, che oltre ad essere vincenti sono divenuti icona del proprio movimento di appartenenza, trasmettendo in maniera carismatica quel senso di appartenenza…ecco, Federer a questo punto della propria esperienza umana – non carriera agonistica, che esprimerebbe un concetto limitante – è il tennis: chiunque vogliate inserire in quella classifica non si può prescindere dal suo nome. Personalmente continuo a comporla e ricomporla da anni, in maniera anche maniacale, e lui c’è sempre.

Cosa lo rende così unico?
Bastano i numeri dei match vinti, dei trofei conquistati, delle settimane da numero 1 del mondo?
Bastano i record, tuttora in aggiornamento?
Bastano i due memorabili incontri giocati a luglio a Wimbledon, quello vinto in semifinale con Nadal e quello all’ultimo sangue perso in finale con Djokovic?

Tutto ciò potrebbe sembrare sufficiente, ma non basta.

Federer ha saputo esprimere la capacità di vincere nell’arco di una carriera lunghissima, ha detronizzato Sampras nel 2001 e ha dato spettacolo un mese fa – anno di grazia 2019 – sfiorando l’impresa di sconfiggere consecutivamente il numero 2 e il numero 1 del mondo, rispettivamente più giovani di lui di cinque e sei anni…che sono un’era geologica nello sport odierno.
Tuttora da numero 3!

È stato in grado di coniugare il meglio di tutte le qualità espresse dagli altri giocatori, dai migliori ai campioni fino ai fuoriclasse.
Talento, timing nel colpire la palla, condizione fisica invidiabile, atletismo inspiegabilmente così longevo, tecnica sempre evoluta nei fondamentali, capacità incredibile nel dritto, resistenza negli scambi da fondo, miglioramenti costanti nel rovescio, volee da poesia…ritmo e potenza, stile classico nel rovescio ad una mano e nella perfezione dei movimenti, tempismo rivoluzionario con anticipi da mettere in difficoltà chiunque per venti anni.

È il solo a meritare il titolo di Ambasciatore del tennis, perché porta il peso della storia di questo sport con la leggerezza di coloro che ormai sono in pace con se stessi.
Non si accontenta, vuole ancora migliorarsi, sente di poterlo fare e continua a dimostrarlo, ma nei limiti del possibile ha vinto la battaglia col demone della vittoria e della sconfitta, la partita più difficile per qualunque sportivo agonista.

Federer è oltre e la folla di tutto il mondo lo sa.
Non c’è match in cui non abbia il favore del pubblico, anche per quel suo stile fatto di amore per lo sport, di fair play nei confronti dell’avversario…per quel suo sentirsi parte di qualcosa che è più grande di lui, ma che è riuscito a domare, l’eredità del passato.

Come nessun altro prima di lui è stimato dagli avversari, amato dai predecessori, ammirato da chi è cresciuto nel suo mito e adesso se lo trova di fronte, venerato dai ragazzini.

Si parla da anni del suo ritiro, gli spettatori di ogni angolo del globo assistono ai suoi incontri come se fossero gli ultimi – come un’attesa messianica al contrario, desiderosi di ‘uccidere’ il re per poi dire “viva il re!”.
Lui è sempre lì, disponibile ad autografi e foto con i tifosi, mai banale in conferenza stampa, con una moglie e quattro figli.

Quando vince è straordinario, quando perde ci ricorda di essere umano perché può farsi tradire dai colpi o dalle emozioni…è quasi più unico nelle sconfitte che nelle vittorie: delle seconde ne ha avute un’infinità, delle prime alcune davvero brucianti.

Eppure è sempre lì, il miglior tennista di ogni tempo perché unico ad aver costretto alla resa – non da sopravvissuto ma da fuoriclasse – l’avversario invincibile: il tempo che passa.

God Save The King!

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