La TV ci spia, e lo fa con il nostro permesso. Anche se non lo sappiamo

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TV spia – La Tv ha iniziato a osservarci. Lo fa con attenzione, annotando ogni dettaglio delle nostre abitudini: cosa guardiamo, quando, con quale frequenza. E lo fa con il nostro permesso. La prima volta che accendete un televisore di ultima generazione, sempre dotato di connessione al Web, è tutto scritto nei termini d’uso.

Esatto, quelli che nessuno legge, anche perché in genere il testo è volutamente lungo e a caratteri minuscoli. Ma termina, poco importa la marca del televisore, con un grosso pulsante “accetta”. E noi, inevitabilmente, accettiamo. Da quel momento ogni cosa che passa sullo schermo, il quando lo accendiamo e lo spegniamo, per quanto tempo resta in funzione, a quali ore e in quali giorni, diventa dato e viene trasmesso alla casa produttrice che poi potrà venderlo a chi le pare. Potreste dire no negando l’assenso, spingervi anche a non connetterlo al wi-fi di casa, poi però non potreste più accedere ai tanti servizi online offerti da Netflix, Prime Video di Amazon, Sky, Mediaset o Rai.

«Possono sapere tutto, veramente tutto. Ed è incredibile che nessuno ne parli», racconta Luca Di Cesare, fondatore della Datv, azienda nata un anno fa che fornisce ai network televisivi strumenti digitali di analisi del comportamento degli spettatori proprio partendo dalla diffusione di decoder e tv connessi. Con un passato alla SmartClip e a DoubleClick, acquisita da Google nel 2008 per 3,1 miliardi di dollari, che anche uno come lui trovi stupefacente una raccolta di informazioni così sfacciata fa pensare.

La nuova miniera d’oro, che alcuni sperano possa portare alla luce un filone ricco quanto quello del Web e dei social network, in gergo si chiama “addressable tv advertising”. È l’insieme di tecnologie che permettono di selezionare una fascia di pubblico particolare basandosi sui dati raccolti per annunci pubblicitari su misura. Se Facebook e Google hanno accumulato miliardi tracciando ogni movimento in Rete degli utenti e poi vendendo inserzioni su misura, i principali network televisivi e costruttori di tecnologia di consumo non vogliono esser da meno.

Siamo solo all’inizio e i numeri di questo mercato sono ancora minuscoli, in Italia si parla di 15 milioni di euro che sono davvero nulla rispetto ai 2,9 miliardi dell’online, anche se la raccolta di informazioni è già attiva e sempre più capillare. Ci sono tecnologie come l’Automatic content recognition (Acr), che riconoscono le “impronte digitali” di ogni immagine e la confrontano con archivi immensi di contenuti per sapere quel che si sta guardando.

Di ogni fotogramma raccolgono una manciata di pixel distribuita in maniera unica e grazie a quella combinazione la individuano. È la stessa tecnica che Facebook impiega per riconoscere i contenuti vietati pubblicati dagli utenti. E ce ne sono altre che capiscono, come una sorta di Shazam, ogni pubblicità che passa sul nostro televisore. Vengono impiegate per sapere sempre cosa guardiamo; sia se abbiamo aperto una app sia se stiamo sfogliando il palinsesto tradizionale di qualche emittente. Altro che Auditel.

«Gli ambiti più importanti, sui quali tutti puntano in questo momento, sono due», spiega Andrea Lamperti, direttore dell’ Osservatorio Internet Media del Politecnico di Milano. «I contenuti da un lato e la pubblicità personalizzata dall’altro. I primi sono forniti via app o decoder e quindi sei profilato come su uno smartphone. L’altro mondo è quello delle pubblicità su tv connesse. Le stanno usando Sky come Discovery e Mediaset. Ti offrono spot personalizzati in base all’abbonamento che hai, a dove abiti, alla tua età. Non te ne accorgi, ma l’erede del vecchio Carosello oggi cambia da abitazione ad abitazione».

Inutile scandalizzarsi, tutto ciò accade già su pc, tablet e smartphone e, al di là degli scenari distopici veri o presunti che siano dipinti in questi anni a proposito delle pratiche disinvolte della Silicon Valley per sorvegliare l’intera umanità, la maggior parte delle persone presta davvero poca attenzione a questi aspetti. Ma forse comincerà a farlo a breve. Le tv connesse si stanno diffondendo, in Italia sono otto milioni su 42,7 totali benché solo la metà sia realmente collegata alla Rete, e all’orizzonte c’è il passaggio al nuovo digitale terrestre, il Digital video broadcasting Second generation terrestrial (Dvb-T2).

Dal primo luglio 2022 tutte le trasmissioni saranno solo in questo standard che aggiunge, fra le altre cose, funzioni interattive via collegamento Web. Al suo fianco c’è anche un altro standard, Hybrid broadcast broadband Tv (HbbTV), che unisce i sistemi tradizionali di trasmissione con quelli via banda larga. Ora, provate ad immaginare cosa si potrebbe fare con tecnologie del genere in piena campagna elettorale per promuovere un candidato.

«Siamo al principio e fortunatamente questa rivoluzione avviene in regime di Gdpr (il Regolamento generale sulla protezione dei dati europeo, ndr), che comunque ha posto dei paletti importanti», conclude Luca Di Cesare. Paletti che però per ora non sembrano aver posto un freno stando ai termini d’uso dei televisori smart.

Jaime D’Alessandro per “la Repubblica – Scienze”

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