LA SPERANZA DI YOM HATZMAUT

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LA SPERANZA DI YOM HATZMAUT

Il giorno 5 dell’ottavo mese del calendario ebraico, noto come Iyar (nel calendario gregoriano quest’anno è caduto fra il 30 Aptile e il 1 Maggio).

In Israele si festeggia la Festa dell’indipendenza, Yom HaAtzmaut. Nel 1948, al termine (che purtroppo non fu termine) di una lunga, lunghissima questione geopolitica e militare, nacque ufficailemnte lo Stato di Israele, a seguito della dichiarazione di indipendenza pronunciata da Ben Gurion, sulla scorta di quella Risoluzione n. 181 dell’ONU che da altri, invece, fu disattesa generando i drammi di cui tutt’ora siamo attoniti spettatori

Ma l’agognato raggiungimento della “Terra promessa” non assume una rilevanza solo politica, nè si pone in contrasto con alcuna pretesa terza. La Patria è diritto dei popoli, e il ritorno a casa una sacrosanta aspirazione del popolo ebraico torppo a lungo costretto a diaspore non volute, ma subite nel tempo.

È un diritto spirituale che si fonda sulla parola di D-o che ha promesso agli ebrei una loro terra, sin dall’infinito passato, ma tale aspirazione non esaurisce la sua portata sul piano religioso, bensì si estende a quello laico unendo fedeli e non, nel rivendicare con orgoglio la propria identità e una proiezione spaziale su cui esercitare il diritto all’esistenza

Si usa definire “mito” quello della Terra di Israele, ma a differenza dei miti tradizionali, il ritorno degli ebrei è qualcosa di molto concreto, potremmo dire di tragicamente concreto. Secoli e secoli di persecuzioni, di emraginazione e discriminazione intervallati da pochi periodi di “serenità”, pur sempre in terra straniera, hanno fatto e fanno di questo popolo orgoglioso il simbolo della resilienza collettiva che non perde mai la speranza. Significativo è il richieamo a Pesach del detto “il prossimo anno a Gerusalemme”.

Si definisce dunque un legame spirituale, esistenziale con la terra che è constustanziale all’ “essere ebreo”

La resistenza, persino allo sterminio nazista durante la Shoah, trova nel ritorno a casa una spinta motivazionale che probabilmente non ha alcun pari nel mondo.

Ed ecco che quindi la costituzione dello Stato di Israele non è il risarcimento per la Shoah, ma il riconoscimento del diritto di un popolo di avere una Patria. In tal modo, l’ebreo non riveste più il ruolo di vittima sacrificale e di capro espitatorio collettivo, ma si rende protagonista della propria vita, della propria storia e della propria identità.

Ecco perchè la dichiarazione di Ben Gurion non è stata di natura territoriale, o bellica, ma è antropologica, espressione della volontà del singolo come della collettività ebraica. In questo contesto, Yom Hatzmaut ha dunque una rilevanza speciale che trascende il piano politico, senza dimenticare gli enormi sacrifici fatti per giungere finalmente alla “Terra Promessa”

Non a caso, infatti la Festa dell’Indipendenza segue Yom Hazikaraon, il Giorno del Ricordo dove si ricordano i soldati dell’esercito e i civil morti durante le guerre di sopravvivenza che Israele ha dovuto affrontare nel tempo (e che persistono tutt’ora) per garantire l’esistenza dello Stato Ebraico.

Se si pensa che sin dal giorno della sua fondazione, Israele è stato attaccato dagli Stati confinanti, ben si comprende la valenza simbolica e identitaria che di anno in anno riveste questa festa: un’unità che va oltre le diversità di cui la società israelliana è composta, andando a sancire un destino comune al di là delle differenze

Ma YomHatzmaut è un prima di tutto, un giorno di festa, dove canti, balli e danze fanno rallegrare gli spiriti, è un giorno di cultura, in cui vengono distribuiti premi per svariate discipline culturali, che mostra come Israele non sia nè voglia essere una monade sperduta (e magari presuntuosa, come vorrebero i suoi destrattori), ma uno Stato che è immerso nella cutlura e nella vita dei popoli e delle nazioni, con cui – come dimostrano gli accordi di Abramo – vi è intenzione di convivere e cooperare.

Sintetizzando potremmo dire che l’”uscita dall’Egitto” culmina con il raggiungimento della “Terra Promessa” ma questa Terra deve vivere e coesistere con le altre nazioni

In questo 2025, in cui la festività ha coinciso non solo con un periodo di guerra sanguinosa iniziata con il massacro del 7 Ottobre, ma anche con gli incendi attizzati, sin quasi dentro Gerusalemme, da piromani esaltati e fanatici ispirati dai terroristi di Hamas, questa volontà di vivere si fa ancora più marcata. Una volontà di vivere che è instrinsecamente volontà di pace perché, come ha sottolineato l’Ambasciatore di Israele in Italia, Johnatan Peled, perchè nessuno come Israele vuole la pace. Essa è infatti garanzia di un futuro condiviso che porti vita e benessere non solo agli israeliani ma anche ai palestinesi, a quelli onesti -e ve ne sono! – che rifiutano Hamas e il loro regime di morte.

E in questo processo, l’Italia può e deve giocare un ruolo essenziale.
Come giustamente ha sottolineato l’Ambasciatore Peled esiste una linea di continuità profonda che lega i due paesi dal punto di vista spirituale prima ancora che politico ed economico, che affonda le proprie radici in un passato comune e in un futuro da vivere insieme e da costruire in due

Un’amicizia profonda e preziosa quella fra Italia e Israele, fondata su una comunanza di valori che faceva dire a Ugo La Malfa, storico leader del partito repubblicano, che “La libertà si difende sotto le mura di Gerusalemme”.

Ed aveva ragione, perchè ogni mistificazione antiebraica e antisemita che purtroppo abbonda in questo periodo storico, non può cancellare questa unica verità: Israele, oggi, rappresenta l’unica democrazia in Medioriente

E per questo è giusto e doveroso unirsi spiritualmente ai festeggiamenti orogliosi di una comunità che vuole resistere per esistere.

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