La Francia è la nuova malata d’Europa

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La Francia è la nuova malata d’Europa

Parigi, ottobre 2025 — La politica francese si trascina stanca, come un pugile che non sa più se difendersi o incassare.

Emmanuel Macron, un tempo enfant prodige dell’Europa moderna, oggi appare logorato da una crisi che ha i contorni del déjà vu.

Il suo governo si regge su compromessi fragili, tra rimpasti-lampo e maggioranze evaporate. E sullo sfondo, i mercati che osservano e misurano il rischio con la freddezza dei numeri

La Francia è diventata, di fatto, la nuova malata d’Europa. E non per ragioni industriali o per un’economia stagnante, ma per lo stesso virus che, un decennio fa, infettò l’Italia: la tentazione di negare la realtà dei conti pubblici.

Il copione si ripete. Macron aveva provato nel 2023 a riformare il sistema pensionistico, portando l’età di pensionamento da 62 a 64 anni, razionalizzando i regimi speciali e cercando di contenere una spesa che ormai assorbe quasi il 14% del PIL — quasi il doppio della media OCSE.

Ma la riforma ha spaccato il Paese

La piazza si è infiammata, i sindacati hanno paralizzato la Francia, e la politica è collassata. Da allora, nessun governo ha più osato toccare la materia. Il risultato è un bilancio che traballa, un debito al 114% del PIL, un deficit che viaggia oltre il 6%, e una fiducia internazionale che si assottiglia giorno dopo giorno.

C’è qualcosa di profondamente italiano in questa storia

Perché anche l’Italia, negli anni passati, ha giocato con il fuoco dell’indulgenza. Matteo Renzi, in cerca di margini di spesa e consenso, arrivò a scontrarsi con Bruxelles per uno 0,02% in più di deficit. Un gesto simbolico, ma disastroso nella percezione dei mercati: l’Italia tornò a essere il Paese “che vuole sempre spendere di più”, e ogni discorso sulla responsabilità di bilancio fu travolto dalla retorica del “fare presto”. Quella stagione aprì la strada alla stagione dei bonus — i governi Conte con il reddito di cittadinanza, il superbonus 110%, il bonus monopattini — una pioggia di spesa pubblica che iniettò liquidità nell’economia, ma anche diffidenza nei mercati e un debito fuori controllo.

L’Italia, in quegli anni, smarrì la propria credibilità

Lo spread tornò a spaventare, le agenzie di rating segnalavano rischio politico, e ogni legge di bilancio sembrava un esercizio di equilibrismo precario. Poi arrivò Giorgetti al Ministero dell’Economia, e qualcosa cambiò.

Con una discrezione insolita per la politica italiana, il ministro dell’economia Giorgetti ha ricostruito passo dopo passo una linea di rigore: taglio agli eccessi, freno ai bonus, rispetto dei vincoli europei. Nel silenzio più assoluto e grazie alla solidità del governo Meloni del quale fa parte ha potuto mantenere dritta la barra di questo gli va dato atto, accantonato e spegnendo all’interno del proprio partito le voci no euro che fino ad oggi di tanto in tanto venivano fuori e che probabilmente covano sotto la cenere pronte a riemergere alla prima occasione, il merito di Giorgetti è quello di aver dimostrato che l’economia e i mercati premiano la serietà e il rigore.

Quindi nessun miracolo, solo disciplina

Ed è stata proprio quella disciplina — la convinzione che il debito non è una scorciatoia ma una trappola — a restituire all’Italia la fiducia che aveva perduto. Lo spread è sceso, i rendimenti si sono stabilizzati, e i mercati hanno ricominciato a leggere Roma come un partner affidabile.

Paradossalmente, oggi l’Italia appare come l’alunno che ha imparato la lezione, mentre la Francia sembra averne raccolto il testimone populista. A Parigi si discute di nuovi aiuti, di pensioni intoccabili, di “giustizia sociale” a colpi di deficit. Ma il conto arriva sempre. Fitch ha già ridotto il rating francese, le curve dei rendimenti si impennano, e nei corridoi di Bruxelles si sussurra che la Francia potrebbe presto subire la stessa pressione che nel 2011 costrinse Roma al cambio di governo.

È una parabola ironica, quasi grottesca. L’Italia, patria del debito e del compromesso, sembra oggi più sobria della Francia, patria della grandeur

Ma l’economia non conosce orgoglio nazionale. Se Parigi continuerà a negare la realtà, a difendere pensioni che non può più permettersi e a ignorare i segnali dei mercati, il finale sarà scritto.

E quel giorno, anche in Francia, davanti alle telecamere del telegiornale, un ministro tecnico — magari con la voce incrinata come quella di Elsa Fornero — annuncerà che, purtroppo, anche per loro l’età pensionabile dovrà salire. Sarà il momento in cui i francesi scopriranno, come noi un tempo, che la verità economica non si vota: si subisce.

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