La flottiglia della propaganda di Greta
Quello che doveva essere la più grande missione umanitaria della storia, sta diventando invece l’ennesima operazione di propaganda politicizzata, condita da sceneggiate mediatiche, presunti attacchi con droni e la solita retorica pseudo-pacifista.
È quello che sta accadendo a bordo della Global Sumud Flotilla—la “flottiglia della pace” diretta a Gaza, capeggiata nientemeno che da Greta Thunberg, in versione modello Giovanna D’arco della realtà metaverso dei giorni d’oggi
La paladina del clima, concluso il capitolo delle lotte contro il buco dell’ozono, si reinventa attivista geopolitica. Si imbarca in una missione che, almeno sulla carta, dovrebbe portare aiuti umanitari nella martoriata Striscia di Gaza. In pratica l’azione invece sta diventando una provocazione in piena regola, fatta più per i flash che per benefici reali alle popolazioni esauste.
Una carovana di imbarcazioni, alcune ferme ancora in Tunisia, procede lentamente a est con l’intento dichiarato di rompere il blocco navale israeliano e denunciare il genocidio
Ma la realtà è molto meno cinematografica. L’arrivo a Gaza, è teoricamente previsto per metà settembre, salvo ulteriori “incidenti”.
Ed ecco che puntuale, come in ogni buon dramma, arriva il misterioso nemico, questa volta invisibile, camuffato da due presunti attacchi con droni nel porto tunisino di Sidi Bou Said. A bordo della nave britannica “Alma”, si parla di un ordigno incendiario piovuto dal cielo. Le immagini mostrano fuoco, panico, testimonianze urlate.
L’effetto virale da tiktok e youtube è garantito
Ma… sorpresa! Le autorità tunisine smentiscono tutto. Nessun drone, nessun ordigno. Secondo i rilievi ufficiali, l’incendio potrebbe essere stato causato da un mozzicone di sigaretta o da un giubbotto infiammabile. Insomma, il “drone assassino” potrebbe essere un accendino dimenticato da un pacifista distratto.
Eppure la narrativa resta intatta. Greta e compagni rilanciano: “attacco deliberato”, “tentativo di sabotaggio”, “complicità internazionale nel genocidio”. La regia è perfetta, anche se il copione fa acqua da tutte le parti.
Eppure le intenzioni ufficiali della flottiglia sono pure nobili: portare cibo, medicine, e latte in polvere ai civili martoriati della Striscia di Gaza
Ma nessuno ignora che entrare via mare in quelle acque in sfida diretta al blocco israeliano è un atto altamente provocatorio, carico di implicazioni politiche. La “missione” non è coordinata con l’ONU, né con le agenzie umanitarie.
È un’iniziativa autonoma, teatrale, studiata a tavolino per generare tensione
Con protagonista la solita Gretina.
Il rischio questa volta reale è uno scontro in mare con l’esercito israeliano. Ma forse è proprio questo che alcuni “pacifisti” auspicano.
Intendono causare un incidente diplomatico e/o fisico da presentare ai media, da strillare sui social.
Un “martirio mediatico” da vendere al pubblico occidentale affamato di cause emotive e privo di qualsiasi conoscenza storica.
E’ molto più che probabile che la flottiglia non arriverà mai a Gaza
Neppure vicino a Gaza. Lo pensano in molti, compreso anche i protagonisti naviganti della compagnia di Greta. Ma non importa.
Lo scopo vero è stato già raggiunto.
Bastano le copertine dei rotocalchi, gli articoli sui giornali online, le indignazione a buon mercato di opinionisti presi a poco prezzo nei talk-shows e i likes su FB e Istagram.
Inoltre c’è in ballo per i Greta-boys una bella crociera nei mari e nelle isole del Mediterraneo, una vacanza pure gratis
Il tutto avviene mentre il popolo palestinese rimane in trincea, dimenticato giorno dopo giorno.
Questa è la nuova frontiera del “pacifismo” 2.0. È sufficiente una barca piena di attivisti benestanti, una GoPro bella carica, qualche slogan, una bandiera della pace e il solito attacco al nemico comodo di turno.
E mentre qualcuno in medioriente rischia davvero la pelle, altri giocano e si divertono dallo scafo di una nave.
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