La diarchia italiana

La monarchia riuscì sempre a mantenere la propria autorità

Una volta instaurato un regime autoritario in Italia, Mussolini governò solo con il partito fascista. Di regime autoritario si trattava ma non totalitario. Poiché si instaurò una vera e propria diarchia nella quale il Sovrano mantenne le proprie prerogative di Capo dello Stato. Accettando la presenza del regime, ma non abdicando de facto e rimanendo una figura puramente simbolica.

Vittorio Emanuele III continuò ad esercitare la propria influenza. Rimase a capo delle Forze Armate, che giuravano fedeltà alla Corona. Non al regime.

Le squadre d’azione con cui Mussolini doveva fare i conti, poiché spesso rissose ed indisciplinate, al fine di contenerle vennero inquadrate in una nuova forza armata: la milizia volontaria per la sicurezza nazionale. Anche questa però giurava fedeltà al Re ed ai suoi reali successori.

Non è possibile parlare di regime totalitario

Sicuramente il Re doveva fare i conti con il regime, ma anche il regime doveva fare i conti con il sovrano. Dunque non si può parlare di un regime totalitario. La caratteristica portante e distintiva del totalitarismo è proprio l’unicità del comando che si sintetizza in un’unica fonte di potere.

Qui il potere rimase diviso per ambiti di competenza tra il Capo del Governo, Primo Ministro e Segretario di Stato. Pomposa locuzione giuridica che caratterizzava il ruolo costituzionale di Mussolini e sua maestà il Re d’Italia.

L’analisi del regime è particolarmente complessa poiché in fase iniziale il fascismo governò l’Italia apportando una serie di riforme che trovarono un largo consenso. Prezzolini stesso, che era un oppositore del fascismo, ammise di essere convinto del fatto che quest’ultimo avesse goduto per lungo tempo del favore della maggioranza degli italiani.

Numerose sono le attestazioni di internazionali e l’idea che il fascismo fosse voluto da gran parte degli italiani.
In quel periodo il regime fece molte cose che oggettivamente trovarono un largo consenso. Tra queste la riforma scolastica, la lotta all’analfabetismo che era ancora un fenomeno problematico in Italia, la bonifica di importanti parti del territorio nazionale quali ad esempio l’Agropontino. Creò uno stato Sociale, le pensioni, il rinnovo del codice penale e civile. Nonché la creazione di importantissime reti viarie e delle infrastrutture portanti del paese.

Sarebbe un errore farci accecare totalmente dalla passione politica e non guardare alla storia con atteggiamento obiettivo ed a quello che in quel momento il fascismo rappresentava in Italia.

Gandhi

Emblematico fu il giudizio del Mahatma Gandhi: “Mussolini è un enigma per me. Molte delle riforme che ha fatto mi attirano. Sembra aver fatto molto per i contadini. In verità, il guanto di ferro c’è. Ma poiché la forza (la violenza) è la base della società occidentale, le riforme di Mussolini sono degne di uno studio imparziale. La sua attenzione per i poveri, la sua opposizione alla superurbanizzazione, il suo sforzo per attuare una coordinazione tra il capitale e il lavoro, mi sembrano richiedere un’attenzione speciale. […] Il mio dubbio fondamentale riguarda il fatto che queste riforme sono attuate mediante la costrizione. Ma accade anche nelle istituzioni democratiche. Ciò che mi colpisce è che, dietro l’implacabilità di Mussolini, c’è il disegno di servire il proprio popolo. Anche dietro i suoi discorsi enfatici c’è un nocciolo di sincerità e di amore appassionato per il suo popolo. Mi sembra anche che la massa degli italiani ami il governo di ferro di Mussolini”.

David Lloyd-George  e Roosevelt

Sicuramente Gandhi stimava i fini non i modi di Mussolini. Ma non fu di certo il solo. David Lloyd-George disse: “Mussolini è un uomo che desta ammirazione anche tra i suoi nemici, e che ogni giorno detta leggi circa il modo di governare i popoli in momenti difficilissimi”.

Franklin Delano Roosevelt fu un grandissimo ammiratore delle politiche sociali di Mussolini tanto da mandare osservatori in Italia al fine di trovare spunti per il suo New Deal. Paradossalmente la crisi del 1929 non mise in ginocchio Italia, mentre quasi tutte le altre potenze vincitrici ne furono devastate.

Rimaniamo sempre ovviamente nel giudizio storico. Non nella rivalutazione politica che oltre ad essere sbagliata sarebbe anche inutile.

Mussolini fu vittima di sé stesso

Benito Mussolini aveva realizzato delle importanti conquiste che guastò con le sue mani. Poiché fu egli stesso vittima del potere assoluto.

L’assolutismo, il contorno di yes man e la mancanza di un opposizione fece perdere a Mussolini ogni contatto con la realtà, ed anche quel fiuto che lo aveva reso un politico importante.

Se avessi deciso di ritirarsi dopo la conquista dell’impero, forse sarebbe ricordato oggi diversamente.
Invece la sua mancanza di contatto con la realtà lo portò a ricercare una dimensione che l’Italia in quel momento non poteva e non doveva permettersi. Lo portò a non ascoltare i consigli fidati di un uomo come Italo Balbo, il quale lo aveva più volte ammonito in merito alla necessità di coltivare un rapporto sereno con Roosevelt.

Lo stesso Vittorio Mussolini ammetterà che, invitato da Roosevelt alla casa Bianca, ebbe la proposta di un incontro con suo padre. Che questi addirittura rifiutò convinto che gli americani non avessero grosse potenzialità nella politica estera.

Un errore così banale era indegno di un politico di quart’ordine, figuriamoci del capo di un governo con una lunga carriera alle spalle.

Quest’ultimo tratto di arroganza è l’indicatore principale della perdita del senso della realtà, dell’opportunità politica.

Esattamente come il varo delle leggi razziali, rappresenta un errore assoluto ed inaccettabile, dettato dalla perdita di quella che era stata la storia del fascismo precedente e la percezione del sentimento popolare che in Italia certo non poteva accettarle di buon grado.

 

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