Il più grande errore dell’Occidente: aver fatto entrare la Cina nel WTO
Come Pechino ha colonizzato industrie e infrastrutture europee, con la complicità di élite arrendevoli — anche italiane
Prefazione – Com’era la Cina prima del WTO
Quando nel dicembre 2001 la Cina fu ammessa nell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), era un Paese ancora arretrato: PIL pro capite intorno ai 1.000 dollari, manifattura a basso valore aggiunto, banche zavorrate, infrastrutture carenti, nessuna leadership tecnologica.
Il WTO fu l’ingresso nell’arena globale. L’Occidente pensava di educarla. Invece si è fatto colonizzare
Il patto che ha indebolito l’Occidente
Mentre gli Stati democratici abbassavano dazi e aprivano i mercati, la Cina manteneva controllo statale, sussidi industriali, vincoli su tecnologia e capitale.
In vent’anni ha svuotato le nostre industrie, assorbito il know-how e conquistato posizione dopo posizione nella catena globale del valore
Il caso Volkswagen (e non solo)
Oggi persino Volkswagen, simbolo della Germania produttiva, dipende da Pechino per la sopravvivenza. Ma non è sola.
<span;><span;>- Volvo Cars (Svezia): interamente acquisita dal colosso cinese Geely.
Porti europei come Amburgo, Pireo, Trieste, Rotterdam: entrati nell’orbita della compagnia statale COSCO.
Settori strategici come energia, chip, logistica: sotto penetrazione economica cinese.
È il soft power economico di Pechino: non invade, compra. E lo fa con metodo e strategia.
La Nuova Via della Seta
La cosiddetta Belt and Road Initiative, lanciata nel 2013, è il grande disegno geopolitico cinese: investire in porti, strade, ferrovie e reti logistiche per estendere l’influenza commerciale e diplomatica di Pechino.
Molti Paesi europei hanno aderito. La Cina finanzia, costruisce, poi chiede accesso, visibilità e riconoscenza. In cambio si prende snodi nevralgici. È un progetto imperiale, non infrastrutturale.
Le quinte colonne europee: l’ingenuità colta
Il disegno cinese ha trovato complicità attive nelle élite europee. Uno dei nomi simbolo è Romano Prodi, presidente della Commissione UE nel momento decisivo: fu tra i promotori più entusiasti dell’ingresso della Cina nel WTO, convinto che “il mercato avrebbe portato la democrazia”.
Accanto a lui, accademici, tecnici e commissari hanno sostenuto per anni l’integrazione cinese come opportunità inevitabile. Nessuno ha messo condizioni. Nessuno ha preteso reciprocità.
La Cina ha agito secondo logiche imperiali. L’Europa secondo illusioni liberali.
Il caso italiano: l’adesione alla Via della Seta
Nel 2019, sotto il governo Conte I (Lega + Movimento 5 Stelle), l’Italia è stato il primo e unico Paese del G7 a firmare ufficialmente un memorandum con la Cina sulla Nuova Via della Seta.
Il promotore: Luigi Di Maio, allora Ministro dello Sviluppo Economico, in quota M5S.
Il quadro: celebrazione in pompa magna a Roma con il presidente Xi Jinping, mentre USA e UE guardavano con allarme
Il contenuto dell’accordo ha avuto impatto limitato, ma la valenza simbolica fu enorme: Pechino ottenne una vittoria diplomatica e un lasciapassare per operazioni economiche in porti e infrastrutture italiane.
Grillo e la retorica filo-cinese
Dietro quella scelta, l’influenza di Beppe Grillo fu determinante. Nei suoi post definiva la Cina “il futuro”, elogiava la pianificazione autoritaria come modello efficiente, difendeva Huawei, e attaccava l’Occidente come sistema decadente e caotico.
Grillo agì come un amplificatore narrativo del soft power cinese, influenzando il dibattito pubblico italiano più di quanto abbiano fatto think tank o diplomatici.
Il ruolo del Partito Democratico
Il Partito Democratico, pur non promotore diretto del Memorandum, non si oppose mai in modo netto all’espansione cinese in Italia.
Durante il governo Conte II (M5S + PD), nonostante le crescenti pressioni internazionali, nessuna iniziativa concreta fu presa per disdire o ridiscutere l’intesa
Il PD, per anni, ha mantenuto una linea prudente e ambigua, oscillando tra atlantismo di facciata e apertura alle logiche “cooperative” della diplomazia cinese.
Solo con il governo Meloni si è assistito — in modo silenzioso ma chiaro — al recesso ufficiale dell’Italia dalla Nuova Via della Seta (2023), restituendo coerenza all’alleanza occidentale.
Gli Stati Uniti: un altro approccio
Negli USA, l’accesso cinese è stato sempre regolato, limitato, condizionato.
Il CFIUS blocca le acquisizioni strategiche. Nessun porto americano è controllato da Pechino. Huawei è bandita. TikTok sotto sorveglianza. I chip avanzati sono sotto embargo.
Gli Stati Uniti hanno capito il pericolo. L’Europa, troppo spesso, ha scelto di ignorarlo.
Serve una dottrina europea
Non è troppo tardi. Ma ogni giorno perso rende più difficile reagire. Serve una nuova dottrina industriale e geopolitica:
Difesa dell’interesse strategico nazionale ed europeo.
Rifiuto della dipendenza sistemica.
Selettività negli investimenti.
Clausole di reciprocità e trasparenza
Non si compete con chi bara. E non si vince se gli amici del nemico siedono al nostro stesso tavolo.
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