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Home Cultura

IL MINISTRO GIULI A FIRENZE: SPAZIO PER UNA NUOVA VISIONE DELLA CULTURA

di Kishore Bombaci
13 Maggio 2025
In Cultura, Politica
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IL MINISTRO GIULI A FIRENZE: SPAZIO PER UNA NUOVA VISIONE DELLA CULTURA
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IL MINISTRO GIULI A FIRENZE: SPAZIO PER UNA NUOVA VISIONE DELLA CULTURA

Dipingere i contorni di una cultura di destra dopo decenni di egemonia culturale a sinistra non era semplice. Smarcarsi da un modo di intendere la cultura come funzionale al potere anche quando non si è al potere è una pratica da coltivare e da implementare visto che il gap da colmare è assai importante.

Dico di destra, ma non perché debba essere una cultura di nicchia, per nostalgici di un passato che non esiste più. Dico di destra semplicemente per bilanciare il tema dopo decenni di predominio culturale di una sinistra che da tempo ha perso il proprio slancio e che da tempo non produce più bellezza

La bellezza è armonia, e l’armonia è lo strumento attraverso il quale la propria identità si fonde con le altre nel rispetto e nel confronto dialogico con modelli diversi.

In una parola, occorre ripristinare alla cultura il ruolo che le è proprio, di ponte verso l’altro e non di “instrumentum regni” a favore di una sola parte politica.

Ben si comprende che se la cultura deve tornare a essere questo, occorre senza dubbio, mettere in discussione l’uso che ne è stato fatto sin qui, sulla base della c.d. egemonia culturale gramsciana.

Sin dai tempi di Antonio Gramsci, la capacità di essere presunti avaguardisti culturali consentiva alla sinistra di superare la mancanza di un dominio politico e istituzionale andando a proporre o imporre modelli culturali direttamente alle masse, cosicché la rivoluzione da politico-economica diventasse mentale

Uno schema che ha funzionato molto bene nel corso degli ultimi decenni – basti pensare a quel fenomeno complesso che va sotto il nome di Sessantotto – e che ha costretto i conservatori a giocare perennemente di rimessa e ad arroccarsi in posizioni simil-aventiniane.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti!
Una serie dunque di pratiche condivise, di valori o presunti tali, opportunamente interpretate, sono stati in grado di forgiare modelli culturali e persino di comportamento avverso ai quali la politica politicante è dovuta correr dietro in modo perenne per tradurre in leggi quei modelli.

Il dibattito dunque si è sempre incistato sul “come” mettere in pratica quei valori, senza mai alcuna seria indagine sulla validità di quegli stessi valori

Ecco perché occorre recuperare la lezione gramsciana non certo per imporre modelli uguali e contrari a quelli progressisti, ma per rendere la cultura veramente un terreno di incontro democratico e non una nicchia appartenente ai soliti noti.

In questo senso, il discorso che ha fatto il Ministro Giuli a Firenze è emblematico di un clima che sta inesorabilmente cambiando in Italia.

Nell’evento Spazio Cultura che ha visto la classe dirigente nazionale e territoriale impegnata a Firenze in questa due giorni intensissima (Venerdi e Sabato) si è respirato aria nuova

La cultura sembra lentamente uscire dalle stantie stanze della sinistra per approdare a un lido diverso, finalmente condiviso e in grado di costituire un motore importante per la salute intellettuale di questo paese, oltre che economica.

In questo contesto il Ministro Giuli ha avuto parole molto nette e chiare, circa lo stato delle cose, a partire dalla riforma del Tax Credit. Le modifiche introdotte dalla Legge di Bilancio 2025 al sistema del tax credit per il settore cinematografico e audiovisivo puntano a rafforzare gli incentivi fiscali, garantire una migliore allocazione delle risorse, promuovere la sostenibilità economica delle produzioni e valorizzare il patrimonio culturale del Paese.

Ed è una riforma che non è stata voluta dalla politica, ma sollecitata da quei protagonisti piccoli medi e anche grandi – come ha sottolineato il Ministro – che hanno detto basta con le rendite e i privilegi

Infatti, se nel settore del cinema per troppo tempo una casta di privilegiati ideologicamente orientati ha fatto il bello e il cattivo tempo, oggi le cose stanno cambiando per la necessità di riequilibrare un sistema da troppo tempo sbilanciato.

E come nella migliore tradizione, quando si va a incidere su uno status quo che aveva garantito a certuni certe rendite di posizione, i privilegiati scalpitano contro le novità

Una minoranza rumorosa che va a occupare persino gli alti palazzi istituzionali con prese di posizione assai discutibili.

Ed ecco che l’attore Elio Germano pochi giorni fa, alla consegna del premio Donatello 2025, aveva imputato direttamente al MIC la crisi del cinema italiano. Un’analisi semplicistica e non motivata quella dell’attore che giustamente ha suscitato le repliche del Ministro le cui parole tuttavia sono state bollate come “bullismo istituzionale” e accompagnate dal solito vittimismo per cui “ inquieta che un Ministro attacchi un cittadino”.

Ricostruzione quella di Germano assai discutibile che sembra essere frutto semplicemente di una presunta lesa maestà

Intanto, nessun attacco è stato pronunciato dal palco di Firenze, ma, soprattutto, Elio Germano, in quanto personaggio pubblico, non è un “quisque de populo”. Quando un personaggio pubblico assume una posizione politica, è normale che questa posizione possa essere contestata, anche da un ministro. Non se ne abbia a per male il bravissimo attore, ma in democrazia funziona così.

Così come anche le parole di Geppi

Cucciari che in modo ironico ha attaccato il Ministro, ha giustamente ricevuto una ironica risposta senza alcun attacco o altro.

I soliti benpensanti anche in questo caso, gridano alla censura e al complotto anti-intellettuali . Grida a vanvera come sovente accade. La realtà dei fatti è che sovente, i comici, ultimo baluardo della sinistra, sono quasi tutti schierati da una parte e non si curano minimamente di nasconderlo, anche quando la satira che portano sulle scene travalica ampiamente il senso artistico per sfociare nell’invettiva politica (unidirezionale!).

Il tema, invece è un altro. E lo ha centrato ancora una volta Alessandro Giuli

Il divorzio tra consenso e potere di cui si ha contezza quotidiana ormai ha generato una sindrome pericolosa nella sinistra, che reagisce in modo scomposto schierando in prima linea intellettuali e artisti di riferimento.

Ma se in tempi passati questi intellettuali, seppur ideologicamente caratterizzati, avevano uno spessore tale da valorizzare comunque il dibattito culturale e politico in Italia, oggi i nuovi araldi della sinistra difettano di capacità politica, di visione a lungo termine, riducendosi appunto a banalità divulgate urbi et orbi.
Si tratta del segno di una profonda erosione di quella egemonia culturale che per molto tempo è stata “potente, coerente e organica” e che oggi mostra la corda.

Per fortuna oserei die! Finalmente le cose stanno cambiando e il sistema si va riequilibrando con ottimi risultati non solo dal punto di vista culturale, ma anche economico. Insomma, CineCittà è tornata ad essere piena, e il sistema cinematografico italiano sta iniziando a suscitare l’attenzione di molti all’estero, tra investimenti e progetti

In altre parole, se la cultura esce dal ghetto del politicamente orientato per assurgere a un orizzonte nazionale condiviso da tutti, il Paese non può che trarne beneficio.

Altro capitolo, trattato da Giuli è quello della fondazione Ginori. Un tema assai concreto in cui quanto detto sin qui trova precisa rispondenza nei fatti. Se il Ministro Franceschini aveva nominato alla presidenza della Fondazione il noto Tomaso Montanari ormai opinionista politico smaccatamente di sinistra, il centrodestra ha compreso che tale fondazione non può né deve essere politicamente orientata.

Per gestirne la presidenza, nell’interesse di tutti è fondamentale che la guida sia un manager e non un intellettuale organico a una certa parte, quale che sia

La fondazione è un’entità da preservare con una Presidenza depoliticizzata – ha affermato in sostanza Giuli – e certamente la figura di Montanari non si presa quelle condizioni di obiettività e, appunto, capacità manageriale che invece dovrebbe rivestire il Presidente.

Ma al di là di questo o quel caso concreto, frutto evidentemente di scosse di assestamento nel terremoto che il centrodestra ha generato nel settore cultura dal 2022 ad oggi, quello che colpisce dell’intervento del Ministro Giuli è la profondità e la visionarietà del progetto

La cultura come ponte di civilità, mediante l’internazionalizzazione delle nostre bellezze. Ed è significativo che questo progetto parta da Firenze con il progetto di “Uffizi diffusi” che porterà sino in Arabia Saudita il pregio dei nostri capolavori artistici.
Una cultura che dunque esce dalle stanze museali per farsi protagonista di una cooperazione fra i popoli mostrando l’essenza dell’italianità. E – non ultimo – la cultura come veicolo di dialogo internazionale che si fa primo fattore di pace.

La pace si realizza con la contaminazione culturale che parta da un forte senso dell’identità specifica perché solo con una identità forte siamo in grado di interfacciarsi con civiltà altre da noi, ripetiamo, in un’ottica cooperativa e non bellicista senza essere subalterni a nessuno

Si badi bene, non si tratta di imposizione di valori o di modelli culturali, ma di dialogo fra pari per mostrare come la nostra arte, la nostra letteratura, la nostra musica ecc. abbia saputo forgiare nel tempo un popolo che, al di là delle divisioni, deve ritrovarsi unito nel senso patriottico della bellezza italiana.

Riportare al centro la bellezza come strumento politico

L’arte come catalizzatore di cooperazione e pace. Insomma, qualcosa di simile che a Firenze abbiamo vissuto sotto Lorenzo il Magnifico (e i Medici in generale) quanto la città era culla della cultura umanistica e rinascimentale e veicolo di centralità dell’Occidente nel mondo.

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