IL GIANOSAURO CONTRO POLLICINO

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IL GIANOSAURO CONTRO POLLICINO

Eugenio Giani sarà nuovamente Presidente della Regione Toscana; le elezioni di Domenica e Lunedì scorsi hanno certificato una vittoria netta del candidato dello schieramento di centrosinistra che stacca di 12 punti percentuale Alessandro Tomasi candidato di centrodestra.
Non è stata sufficente per quest’ultimo una campagna elettorale appassionata, fra la gente, e culminata con la bellissima manifestazione del 10 Ottobre scorso. Il responso delle urne è stato inesorabile.
Spicca, tuttavia, il grande astensionismo che per la prima volta in Toscana si è attestato sul 47,7%. Un dato del tutto inedito che qualcuno sperava colpisse prevalentemente il centrosinistra a differenza del passato, dove invece è sempre stato il centrodestra a scontarne gli effetti. Non è stato così. Alla fine, se compariamo i risultati di ieri con quelli delle scorse regionali, scopriamo che ben poco è cambiato potendo dedursi il l’astensionismo ha ripartito i propri effetti in modo sostanzialmente uniforme.
I toscani – quelli che sono andati a votare – in ogni caso, hanno deciso. E gli elettori hanno sempre ragione, anche se il responso non piace.
Probabilmente ha prevalso la linea della continuità, grantita da Eugenio Giani, vero monolite in Toscana, soprattutto a Firenze e provincia. Ha dato maggiore sicurezza l’usato garantito che prescinde dai programmi per concentrarsi sulla figura dei candidati. Nonostante i disastri della precedente Amministrazione Giani, nonostante diversi smottamenti a sinistra della linea della giunta sopratutto negli ultimi mesi, i toscani hanno ancora una volta deciso di dare fiducia a Eugenio detto “il Tartina”, per l’abitudine consumata a ingozzarsi ai rinfreschi. E la parte riformista? Quella che contestava la cedevolezza a sinistra? Evidentemente è stata rassicurata da Matteo Renzi e dalla la sua coalizione che strappando una percentuale tra l’8% e il 9% ha dato rappresentanza a chi non ne aveva dopo l’alleanza Giani-Taverna.
Insomma, tutto deve cambiare perchè tutto rimanga com’è! – come ci insegnava il buon Tomasi di Lampedusa.
Eugenio Giani infatti rappresenta l’eterno presente di una sinistra toscana capace di mutare, talvolta per convenienza, rimanendo sempre se stessa. E’ l’espressione massima di un conglomerato di reti e clientele che, di solito sotterraneo e silenzioso, spunta rigorosamente a ogni tornata elettorale per garantire il predominio del PD. Giani rappresenta bene questo assetto di potere. Ex socialista, prima antirenziano e poi renziano doc, in seguito schleiniano per diverntare anti-schleiniano amabilmente ricambiato. Insomma, un uomo per tutte le stagioni, colto e raffinato ma al tempo stesso, conoscitore profondo della macchina politica toscana e capace di riciclarsi come garante dell’esistente, anche quanto l’esistente muta radicalmente forma.
Si presentava a queste elezioni fortemente delegittimato da una leadership nazionale che non lo voleva e che averbbe preferito un candidato più rappresentativo del nuovo corso del PD a trazione “sinistra”. Non è un mistero che Elly Schlein voleva Marco Furfaro, parlamentare PD vicino ad AVS o Emiliano Fossi, segretario regionale del partito e schleiniano di ferro. Ha dovuto retrocedere solo per la evidente debolezza dei due prescelti e a seguito di un compromesso con il Governatore uscente che ha pagato un prezzo carissimo per la sua ricandidatura. Giani ha dovuto firmare letteralmente un patto con il Diavolo, per cui in cambio del placet dell* Segretari* Nazionale, il programma viene scritto da altri e i nominativi in Giunta regionale sono imposti da altri.
Insomama, il buon Eugenio si è presentato ai nastri di partenza di questa campagna elettorale come candidato commissariato. Vedremo adesso, a partire dalla formazione del governo regionale e dalle linee programmatiche, se il commissariamento sarà effettivo oppure se questo successo elettorale che si deve certamente alla persona del candidato, muterà gli equilibri di maggioranza. Ciò, anche in considerazione del fatto che il buon risultato di Casa Riformista – l’ultima zampata di Renzi sulla coalizione – potrebbe bilanciare le velleità massimaliste di Schelin e Conte (a tal proposito il Movimento Cinqueste Stelle conferma e aggrava la caduta libera che abbiam potuto apprezzare anche nelle elezioni marchigiane e calabresi).
Come ovvio, adesso nel centrosinistra sono tutti a magnificare le sorti del campo largo, ma è evidente che questo esperimento toscano (che loro intendono come laboratorio nazionale) sia fine a se stesso e non regga le prove che oltrepassino i confini regionali (non per esondare in Lombardia, con buona pace della geografia gianiana, ribattezzata gianografia). Invero, non si sa nemmeno se reggerà la prova del Governo toscano visto che su diversi punti chiave le anime della maggioranza hanno visioni diverse per non dire opposte.
Dall’altra parte, c’era un candidato – Alessandro Tomasi, sindaco di Pistoia – percepito dagli elettori come “debole”, sconosciuto ai più e clamorosamente in ritardo nell’inizio della propria campagna elettorale.
Un profilo di enorme valore non v’è dubbio, che fa della buona amministrazione la sua cifra distintiva, e della sua non divisività l’elemento centrale della proposta politica. Tomasi ha giocato queste carte per presentarsi come un candidato appetibile anche per i delusi del centrosinistra e per gli spaventati dall’estremismo (per i quali aveva pensato una lista civica che si è rivelata un flop clamoroso). Ci ha provato imprimendo alla propria battaglia elettorale il crisma della pragmaticità, dei temi territoriali, rifiutando la contrapposizione ideologica su temi di politica nazionale e internazionale. Un Tomasi che ha preferito lasciare lungo il percorso briciole di buonsenso, empatia, attenzione ai problemi reali come Pollicino nella nota favola.
Tutto questo, tuttavia non è servito a convincere i toscani. Forse è mancata una caratterizzazione identitaria forte che ha tenuto lontano dalle urne anche la destra più destra (nè a recuperarla è stato Vannacci, il cui evidente fallimento dovrà essere analizzato attentamente in casa Lega).
Tomasi ha fatto quel che ha potuto e lo ha fatto anche molto bene, ma non è riuscito a sconfiggere il blocco di potere che da decenni appoggia il centrosinistra.
Poteva iniziare prima a fare campagna pubblica, questo sì. Quando venne nominato Coordinatore Regionale di Fratelli d’Italia avrebbe probabilmente dovuto incrementare il suo “tasso di pubblicità” così da arrivare all’inizio della campagna elettorale con un profilo più conosciuto soprattutto in quelle province che ben conoscevano invece l’onnipresente Giani. Ha, inoltre, pagato lo scotto di una ufficializzazione tardiva dovuta a ripicche di Forza Italia (prevalentemente) e Lega (un po’ meno), i cui risultati dovrebbero suggerire a queste ultime un bagno di umiltà, che temo non arriverà.
Si sono dunque scontrate due visioni diverse, non solo della Toscana ma proprio del fare politica. Onnipresente Giani, quasi sotterraneo Tomasi. Ideologica la sinistra che ha abbracciato proposte dal chiaro sapore populista – come reddito di cittadinanza regionale, salarimo minimo regionale tanto per dirne alcune – che si è imbarcata nei deliri pro palestinesi fino a spingersi a voler riconoscere lo Stato di Palestina (Giani tradizionalmente era amico di Israele, ma non ha esitato a scagliarsi contro Marco Carrai in campagna elettorale). Pragmatica la destra nel tentativo di rappresentare famiglie e imprese innanzi a una crisi sistemica del territorio regionale a cui la precedente Amministrazione Giani ha dato ben poche risposte: dalla sanità, ai trasporti, alle infrastrutture ecc.
I Toscani hanno preferito la deriva sinistroide piuttosto che la buona amministrazione.
Non c’è nulla da fare, Giani è – come si dice a Firenze – “i’Giani”, è un monolite, un monumento vivente allo status quo, un Golia di fronte al quale David-Tomasi difficilmente poteva competere ad armi pari.
Ci ha provato, non c’è riuscito, ma ha lasciato in eredità un partito Fratelli d’Italia in netta crescita, un gruppo di consiglieri regionali eletti di alto spessore e qualità, una classe dirigente che si sta facendo le ossa sul territorio per farsi trovare pronta fra cinque anni.
E scusate se è poco!

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