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Il Fallimento Sinistro

di Matteo Marra
10 Giugno 2025
In Politica
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Il Fallimento Sinistro
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Il Fallimento Sinistro

Ogni votazione è una battaglia. Nelle elezioni politiche, si scontrano ideologie, visioni del mondo, e sono dirette a far eleggere qualcuno che dovrà rappresentare chi condivide una medesima Weltanschauung. In un referendum, invece, si vota per qualcosa, cioè per mettere in pratica un principio, per trasformare le idee in azioni e, forse, i referendum sono le battaglie più “sanguinose”, quelle che spaccano davvero in due le famiglie, le coppie e dividono gli amici.

Ogni battaglia ha vincitori e vinti. Così come le elezioni politiche, anche in un referendum è possibile individuare chi ha vinto e chi ha perso. Ciò vale anche per il referendum dell’8 e 9 giugno del 2025: è bene precisarlo perché questo referendum ha qualcosa di particolare rispetto a tutti i precedenti

È un referendum, infatti, che si avvicina molto ad una mozione di fiducia, o meglio, di sfiducia e, contemporaneamente, sembra anche un’elezione primaria.

Iniziamo dal secondo elemento. Nel 2023, Elly Schlein è diventata segretaria del Partito Democratico perdendo tra gli iscritti, ma vincendo tra gli elettori. Il congresso del PD si svolge in due fasi. Nella prima fase, si discutono le piattaforme politico-programmatiche. Nella seconda fase, gli iscritti votano sulle candidature a segretario.

Solo dopo il voto degli iscritti, si svolgono le primarie tra i due candidati a segretario che hanno ottenuto più voti tra gli iscritti

Le primarie sono aperte, oltre agli iscritti, anche agli elettori del PD.

La partecipazione degli elettori è un escamotage per sottrarre alla logica delle correnti interne la scelta del segretario. Trattasi di una scelta che è, da una parte, ammirevole perché mira a garantire una certa competitività nelle elezioni delle cariche interne del partito, ma, dall’altra parte, è fonte di problemi, soprattutto quando gli iscritti appoggiano un candidato che non viene eletto anche dagli elettori.

Il che determina una “coabitazione” tra la struttura del partito (gli iscritti), di uno specifico orientamento, ed il segretario, di tutt’altro orientamento

La situazione della “coabitazione” era quella di Matteo Renzi nel lontano 2013, ma è anche quella di Elly Schlein a partire dal 2023. È ovvio che chi sia stato eletto segretario voglia anche fare il segretario e ciò lo si fa attraverso la compressione dell’opposizione interna. Se vogliamo, Renzi è stato un po’ più “teatrale”; mentre Schlein fa le cose un po’ più di nascosto anche per trasmettere il messaggio all’esterno di una certa armonia tra le varie anime del PD: una strategia che ben funziona per la destra.

Renzi, invece, voleva “rottamare” e voleva anche che la gente sapesse che il PD stava subendo un profondo processo di rifondazione

Renzi e Schlein rappresentano le due ali opposte del centrosinistra. Il Jobs Act è una delle riforme fondamentali del renzismo: abolire il Jobs Act equivale a porre fine alla stagione riformista del centrosinistra. Trattasi di un chiaro messaggio non solo ai renziani dentro e fuori il Partito Democratico, ma anche a tutta la struttura di partito che ancora si oppone alla nuova linea: il PD di Schlein va a sinistra. Ecco perché è necessario che il PD sostenga i referendum sul lavoro promossi, in primis, dalla CGIL. È attraverso il referendum sul lavoro e solo attraverso di essi che Schlein può ricucire i rapporti con la Confederazione Generale Italiana del Lavoro, deteriorati nel corso degli anni del riformismo.

Non a caso le forze riformiste dell’opposizione (Italia Viva ed Azione) hanno sostenuto unicamente il quesito sulla cittadinanza; mentre +Europa era contraria all’abrogazione del Jobs Act

Qui arriviamo al secondo elemento: abbiamo detto che questo referendum somiglia ad una mozione di fiducia. Il quesito sulla cittadinanza, ma molto di più quello sull’autonomia differenziata (ritenuto, però, inammissibile dalla Corte costituzionale), avrebbe dovuto servire da mozione di fiducia per far cadere il Governo Meloni.

Il raggiungimento del quorum era condizione necessaria perché fosse possibile a) rivendicare una maggioranza contro il Governo e b) proclamare vincitrice delle primarie Elly Schlein, che avrebbe dimostrato di saper fare la segretaria. Ma il quorum non è stato raggiunto; l’affluenza si è fermata al 30,60% circa.

Quasi 14 milioni di italiani si sono recati alle urne, cioè 300.000 persone in meno rispetto ai voti presi da tutto il centrosinistra alle elezioni politiche del 2022

Questi 14 milioni hanno votato disgiuntamente, cioè se i quesiti sul lavoro hanno una netta maggioranza di favorevoli, attorno al 90%, seppur con minime variazioni, il quinto quesito, quello sulla cittadinanza, ha incontrato il favore di solo il 65% degli elettori.

Il che ci suggerisce che il numero delle croci sul “SI” è inferiore agli elettori del centrosinistra: una sconfitta a 360 gradi.
Il risultato del referendum non è muto, ci dice due cose:

1) non esiste un centrosinistra in grado di unirsi per costituire un’alternativa valida al centrodestra guidato da Giorgia Meloni;

2) Elly Schlein ha perso le primarie più costose nella storia della politica italiana. Queste elezioni primarie hanno arrecato al bilancio dello Stato un danno di 90 milioni di euro, che poteva essere evitato visto che le risorse sono poche ed interi titoli di spesa, come amano ricordare i sostenitori di questo referendum, sono sottofinanziati.

Sarebbe il caso che il PD abbandonasse il prima possibile la deriva illiberale, irrazionale ed antidemocratica (non uso il ben più appropriato “fascista” perché è un termine abusato, di cui sentiamo anche fin troppo parlare, ma, chi desidera approfondire, può leggere l’ottima raccolta di articoli Il fascismo degli antifascisti di Pier Paolo Pasolini) della linea imposta dalla cara Schlein e ripartisse con qualcuno preparato a guidare un partito verso il futuro, verso una sinistra decente, come Stefano Bonacci (che, nelle primarie del 2023, aveva vinto tra gli iscritti col 53%), esiliato (chissà come mai) da Elly a Bruxelles

Giuseppe Conte del Movimento 5 Stelle, che pretende rispetto verso i 14 milioni di italiani che si sono recati alle urne (dei quali, chi scrive, fa parte), pretenda e porti rispetto verso tutti gli Italiani, non solo quelli che votano a sinistra: sì, anche verso il 70% di loro che non è andato a votare, disgustati dall’abuso dell’istituto referendario, che, ora, la sinistra, che non vince più le elezioni (chissà come mai), vuole anche modificare nel profondo abolendo il quorum.

Allora, chiariamoci: senza il quorum, avrebbe vinto nettamente il NO; non è che senza quorum la gente corre a votare SI. In democrazia, vince la maggioranza, che incontra, ovviamente tutti i limiti costituzionali necessari per far sì che governo della maggioranza non si traduca in dittatura della maggioranza

Il quorum pretende che il 50% più 1 degli aventi diritto al voto si rechi alle urne per esprimere la propria volontà col voto ed è ciò che rende il referendum uno strumento di democrazia diretta. Strumento che, senza il suo strumento fondamentale, cioè proprio il quorum, metterebbe la minoranza in condizione di imporre alla maggioranza la propria volontà e ciò è incompatibile con la democrazia e lo Stato di diritto.

Abbiamo impiegato secoli per far sì che la regola di maggioranza trovasse applicazione

Abbiamo lottato contro il fascismo ed il comunismo per far sì che la regola di maggioranza trovasse dei limiti nel rispetto dei diritti e della libertà della persona. Quindi, chi vince le elezioni governa nelle forme e nei limiti della Costituzione e delle leggi.

Chi perde le elezioni cerca di elaborare una proposta politica più convincente alle prossime elezioni

Se la sinistra perde le elezioni non è colpa del popolo che non sa quello che vuole, ma è colpa della sinistra che non sa quello che il popolo vuole. Se gli Italiani rifiutano la sinistra, è la sinistra ad essere fuori luogo ed a dover cambiare non di certo il popolo italiano.
Finora si è parlato degli sconfitti, dei vinti. I vincitori sono facilmente individuabili.

Questa battaglia è stata vinta dal Governo Meloni, uscito rafforzato, e dalla destra, che è stata in grado di respingere il tentativo, finito molto male, dell’estrema sinistra di mobilitare gli Italiani contro Giorgia Meloni

La “rivolta sociale” di Landini (segretario, si spera prossimo alle dimissioni, della CGIL) e le frasi sconnesse e senza un significato di Elly Schlein hanno creato un clima di odio, che ha finito col trasformare l’avversario politico in un nemico da eliminare fisicamente perché troppo forte da battere sul piano elettorale. Gli Italiani hanno capito il bluff e questa strategia è fallita.

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Tags: PDPRIMO PIANOREFERENDUMSCHLEINSinistro
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