Il dilemma di Salvini e il nuovo Partito Nazionale di Destra Popolare

La vicenda Metropol apparentemente non ha avuto effetti negativi sui consensi per la Lega e il suo leader. Tutto ciò non stupisce. Al di là del merito della vicenda, ancora tutto da chiarire, è noto che i militanti leghisti e l’elettorato di riferimento di Matteo Salvini nutrono stima e ammirazione per Putin e guardano con favore alla Russia e al ruolo che tale Paese può e deve giocare nello scacchiere europeo.

Nessuna sorpresa, dunque, che il Corriere, nel suo ultimo sondaggio, attribuisca alla Lega, in caso di elezioni, il 36% delle preferenze. Niente male per un partito e per un leader che si è inimicato tutti i poteri forti di questo mondo e che non si è mosso con particolare efficacia e sagacia politica dopo il recente successo alle elezioni europee. Salvini si trova adesso dinanzi a un dilemma di non facile soluzione: tirare avanti almeno sino al 2020, cercando almeno di portare a casa la flat tax, o staccare la spina al governo, secondo i desiderata di Giorgetti, nella speranza di trionfare in occasione di eventuali elezioni anticipate.

La seconda ipotesi, indubbiamente accattivante, si fonda in effetti su una speranza, la cui concretizzazione appare tutt’altro che scontata. In primo luogo, infatti, bisogna essere certi che Mattarella, in caso di crisi, accetti di indire nuove elezioni. Di questo non si può essere certi. I padri costituenti hanno voluto dare all’Italia una democrazia parlamentare; il che significa che il Parlamento è sovrano e solo al Parlamento spetta il compito di verificare se esistono maggioranze in grado di sostenere un governo, anche nel caso in cui una crisi mandi a gambe all’aria l’esecutivo prima della fine naturale della legislatura.

Chi dice che gli elettori, al momento del voto, scelgono anche il governo, e che quindi in caso di crisi bisogna tornare a nuove elezioni, dice, giuridicamente parlando, una falsità. Ciò a dispetto dei tentativi di modifica surrettizia della costituzione tentati a partire dagli anni ‘90 a colpi di riforme della legge elettorale. Orbene, i maldipancia dei pentastellati e in particolare della corrente che fa capo a Fico paiono deporre nel senso della possibilità di una maggioranza alternativa. Nel caso in cui, a seguito di una crisi di governo, tale maggioranza dovesse palesarsi, le regole del gioco stabilite dalla nostra costituzione imporrebbero al capo dello Stato di seguire una strada diversa da quella prefigurata da Giorgetti e da chi, nella Lega, intende porre termine all’esecutivo di Giuseppe Conte onde capitalizzare a breve un consenso politico che i sondaggi confermano essere ancora notevolmente elevato.

C’è poi un problema politico legato alla scarsa opportunità di una eventuale crisi aperta in una fase come quella che il Paese sta attraversando in queste settimane. Giacché, sarà pur vero, come sostiene Salvini, in opposizione frontale con i suoi alleati, che le grandi opere sono bloccate, che la riforma del sistema fiscale è osteggiata, che in Europa i 5Stelle si muovono con criteri e logiche incompatibili con le posizioni dell’alleato interno, ma resta il fatto che l’Italia, pur nella consueta stagnazione, sta attraversando un periodo di relativa calma, al di fuori delle consuete tempeste economico-finanziarie: lo spread, per quel che vale, è sotto controllo, la procedura d’infrazione è stata evitata, quel poco che resta dell’estate si preannuncia tranquillo e senza marosi.

Se Salvini, assecondando il disagio di molti dirigenti leghisti e di buona parte dei militanti, decidesse di porre termine all’esperienza di governo, darebbe buon gioco all’opposizione che lo accusa di opportunismo e di irresponsabilità; e soprattutto finirebbe per dare la volata definitiva all’ascesa morale e politica di Giuseppe Conte, passato in breve tempo da premier dimezzato, “burattino” nelle mani di una coppia improbabile ma efficace, a padre della patria, garante delle istituzioni nei confronti di leader politici descritti come infantili e opportunisti. Molto meglio, per questo, attendere l’autunno e la manovra finanziaria che si preannuncia complessa, specie a seguito della nomina di un presidente della Commissione Europea che ben difficilmente farà sconti all’Italia.

La flat tax, o comunque una seria sermplificazione del sistema tributario, insieme al tema delle autonomie e a quello delle opere pubbliche, TAV in testa, dovranno essere i cavalli di battaglia della Lega, gli imperativi politici non procrastinabili. Solo in caso di una mancata intesa su tali temi con l’alleato di governo o di una opposizione occhiuta da parte di Bruxelles, la fine del governo Conte apparirebbe giustificata e pienamente spendibile politicamente.

Se l’intezione di Matteo Salvini è davvero quella di dar vita a un partito nazionale di destra popolare, come molti che si sono appassionati alla “nuova” Lega hanno ritenuto, è necessario che il ministro dell’Interno si armi di pazienza, che si rassegni ogni tanto a incassare, come ogni pugile che si rispetti, e soprattutto che passi dalla tattica alla strategia, scarto che l’Italia chiede a tutte le formazioni politiche e non solo alla Lega.

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