Il caso Carrai come crash test politico per testare la resistenza a sinistra dell’ area progressista

sanità

Il caso Carrai come crash test politico per testare la resistenza a sinistra dell’ area progressista

Eugenio Giani non ha mai pronunciato la parola “licenziamento”. Con la consueta abilità lessicale del politico di lungo corso, ha parlato di un avvicendamento naturale, di una staffetta che si compie al termine di un mandato.

Ma a Firenze, dove ogni parola pesa come un macigno, la tempistica e le circostanze rendono quell’avvicendamento tutt’altro che neutro

Marco Carrai, presidente della Fondazione Meyer, non ha lasciato dietro di sé scandali, errori di gestione o ombre amministrative.

Al contrario, la sua presidenza non può che essere ricordata con elogi: una gestione ordinata, attenta, capace di dare continuità a un’istituzione che è patrimonio comune e che nulla dovrebbe avere a che fare con le contese della politica.

Eppure l’uscita di scena di Carrai non pare seguire alcun criterio di merito, bensì l’aria, più acre, della convenienza politica

Per comprendere la vicenda bisogna guardare alla cornice più ampia: la politica toscana in questo scorcio di vigilia elettorale. Una politica radicalizzata a sinistra, nutrita di posizioni populiste che in un contesto come quello toscano — e ancor più fiorentino — trovano terreno fertile. È in Toscana che prende corpo l’esperimento politico del cosiddetto campo largo, dove il Partito democratico si allea con i Cinque Stelle.

Un matrimonio che in altre regioni appare impraticabile, ma che qui sembra poter pagare in termini di consenso sicuramente grazie alla dote del PD ma che inspiegabilmente appare meno determinate nel programma rispetto alla scelta di temi identitari della coalizione

E in questo laboratorio, ogni episodio sembra venire usato sapientemente come un test di resistenza per le reazioni interne nella coalizione.

E il caso Carrai, di questi giorni ecco che sembra, assomigliare più a un crash test politico che a una semplice rotazione di vertici della quale sicuramente non se ne sentiva probabilmente neanche l’ esigenza visti i meriti e la capacità organizzativa e gestionale dimostrata in questi anni nella gestione del Meyer da Carrai

Sinceramente sembra servire a misurare la capacità di resistenza di quella sinistra progressista che in passato, con Renzi, seppe conquistare il governo del Paese. Una sinistra che oggi appare imbelle, incapace di reagire all’iniziativa dell’area radicale, pronta a rinnegare se stessa pur di non perdere l’abbraccio di un alleato populista.

Non a caso le voci critiche, all’interno del Partito democratico, non si sono levate

Nessuno ha osato mettere in discussione la scelta, né sottolineare l’assurdità di allontanare un presidente stimato per ragioni che nulla hanno a che fare con la qualità della sua opera.

Giani, con il suo lessico anodino fatto di “sentimenti complessivi da rassicurare”, ha lanciato un messaggio chiaro: nel campo largo comanda chi detta la linea, e chi ha qualcosa da dire lo faccia ora o taccia per sempre.

È il suggello dell’OPA politica lanciata da Elly Schlein sul Partito democratico, un’OPA che ha cancellato correnti e minoranze, lasciando un partito prono alle istanze radicali che in Toscana, e forse soltanto in Toscana, possono sperare di trasformarsi in voti.

La cacciata garbata di Carrai diventa così un episodio simbolico: non un atto dovuto alla gestione del Meyer, ma una prova generale di obbedienza

E il silenzio che l’ha accompagnata fa più rumore di qualsiasi proclama.

Leggi anche:

https://www.adhocnews.it/

www.facebook.com/adhocnewsitalia

SEGUICI SU GOOGLE

Exit mobile version