Il boomerang dei referendum politicizzati: quando l’opposizione si auto-sabota

Il boomerang dei referendum politicizzati: quando l’opposizione si auto-sabota

I dati parlano chiaro: l’affluenza media ai referendum si è fermata, alle ore 23:00 dell’8 giugno, a un misero 22,7% su scala nazionale.

Una cifra che, da sola, basterebbe a certificare l’insuccesso dell’iniziativa

Fa eccezione, come prevedibile, la Toscana – e in particolare Firenze e dintorni – dove si sono registrate percentuali ben più alte: 29,99% in regione, e 35,97% nel capoluogo.

In alcuni comuni, come Sesto Fiorentino, si è persino toccato il 36,65%. Ma anche questi dati, seppur più alti della media, non bastano a rendere il referendum valido, confermano solo di fatto chi si riconosce nelle attuali scelte populiste della sinistra di Schlein.

È evidente che questo identifica in Firenze lo zoccolo duro del PD che lascia cadere ogni speranza di alternativa territoriale salvo miracoli di ravvedimenti in caso di scandali interni

Il monolite rimane intatto per adesso..

Questa mattina, lunedì 9 giugno, i dati parziali relativi al secondo giorno di voto indicano una media nazionale attorno al 41,1%, con la Toscana ancora una volta in testa, tra il 37% e il 38%, confermando la sua tradizionale maggiore partecipazione civica.

Perché ancora una volta la “roccaforte rossa” non ha smentito la sua fedeltà ideologica, confermandosi quel bastione nostalgico che resiste al cambiamento, aggrappato a un Sessantotto ormai svuotato di significato

Ma sarebbe un errore analizzare questo flop soltanto con la lente dei numeri. Il fallimento dei promotori è prima di tutto politico, ancor prima che aritmetico. È l’esito inevitabile di una strategia che ha scientemente sabotato se stessa: temi tecnici, spesso ambigui, tradotti in quesiti che richiedevano più interpretazione giuridica che scelta civica, sono stati usati come cavallo di Troia per una battaglia ideologica. In alcuni casi, con l’ironia grottesca di voler modificare leggi volute proprio dalla stessa parte politica che oggi guida l’opposizione. Un autogol in piena regola.

E se tutto ciò non bastasse, si è aggiunta un’ulteriore stonatura: la criminalizzazione dell’astensionismo. Chi ha scelto consapevolmente di non partecipare – per ragioni di metodo, di merito o semplicemente per coerenza democratica – è stato descritto come ignavo o, peggio, complice di oscuri interessi

Ma il silenzio, in democrazia, è anch’esso parola. Il rifiuto di legittimare referendum mal congegnati è un atto politico pieno, non un vuoto di responsabilità. E su questo fronte gli organizzatori hanno perso due volte: nei contenuti e nel rispetto dell’intelligenza degli elettori.

Questo insuccesso sancisce ancora una volta l’irriducibile distanza di un’opposizione anacronistica dalla realtà del Paese. Un’opposizione che si rifugia nei suoi simboli identitari, nei suoi linguaggi stantii, e che fatica a offrire una visione credibile per il futuro. Il mondo cambia, la società evolve, ma certi apparati sembrano fermi a un eterno dopoguerra.

Emblematico, in questo senso, anche il caso di Firenze e della Toscana: territori in cui l’ideologia sopravvive al pragmatismo, dove la sinistra continua a confondere accoglienza con sottomissione, e dove ogni tentativo di discussione viene liquidato come eresia reazionaria

È il paradosso della tolleranza selettiva: si accoglie chiunque, purché non dissenta.

Uno sguardo oltre confine rende il quadro ancora più evidente. In Inghilterra, Keir Starmer – leader della sinistra laburista – ha proposto di portare da 5 a 10 gli anni necessari per richiedere la cittadinanza, sostenendo che altrimenti il Regno Unito rischia di trasformarsi in “un’isola di stranieri”. Un’affermazione che avrebbe scatenato l’inferno mediatico se fosse uscita dalla bocca di un politico italiano.

Eppure, da sinistra, si leva un messaggio di maggiore rigore, di pragmatismo identitario, che qui in Italia sembra ancora impensabile

Forse perché da noi la sinistra, più che evolversi, preferisce fossilizzarsi.

In conclusione, i referendum sono falliti. Ma non per colpa del popolo, bensì di chi li ha promossi senza onestà intellettuale, senza coraggio riformista e con la solita, logora voglia di trasformare ogni occasione democratica in uno scontro ideologico. Gli italiani, con il loro silenzio, hanno risposto. Forte e chiaro.

Unica eccezione Firenze, ma ormai siamo abituati al masochismo dei fiorentini: si sa, mal voluto non fu mai troppo.

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