I “Pontieri” di carta
Costruire ponti
Cercare il dialogo, trovare la sintesi pur nella legittima diversità delle posizioni, in nome di un bene superiore.
All’indomani dell’elezione dell’agostiniano statunitense Robert Francis Prevost al Soglio Pontificio, siamo tutti d’accordo sul chiaro messaggio di PACE che ha lanciato al mondo un Papa che ha voluto darsi il nome di Leone XIV, una “pace disarmata e disarmante, umile e perseverante”.
Così, dai TG, alla carta stampata, e per finire anche i social, è tutto un profluvio di apprezzamento per un indirizzo, anche politico, espresso dal Romano Pontefice verso la PACE che sarà la stella polare del popolo della Chiesa cattolica guidato da Leona XIV che conta 1 miliardo e quasi quattrocentomila fedeli nel mondo.
Facile, la standing ovation globale e bipartisan sulla PACE: chi, non apprezza l’appello alla pace?
Chi non apprezza la prospettiva di costruire ponti tra Mosca e Kiev, tra israeliani e palestinesi, tra popolazioni martoriate dell’Africa nera o delle polveriere medio-orientali….?
Ma PACE non è una parola: è una strategia, è un indirizzo politico fatto di umiltà ed impegno quotidiano, e di strategie globali perseveranti in direzione pace, io, dal mio piccolo perimetro, ne vedo pochine.
Certo, ci siamo emozionati davanti all’immagine potente ma effimera dell’incontro tra Leader contrapposti, Trump e Zelensky tra le navate della basilica di San Pietro ai funerali di Papa Francesco; i due Leader erano vicinissimi e tutti abbiamo immaginato una pace vicina
La soluzione del conflitto è però ancora tutt’altro che prossima, e non ci sorprende, poiché oggi la strategia della contrapposizione e del conflitto forse pagano di più in termini di visibilità e consenso.
Lo sguardo corre al microcosmo della nostra piccola Italietta, dove politici ed amministratori delle città e delle Regioni fanno a gara a marcare le differenze tra chi sta al governo e chi sta all’opposizione, tra chi è antifascista doc e chi non lo è (in un Paese che ha fondato la sua democrazia e la Costituzione proprio sull’antifascismo), perdendo di vista la carne viva delle persone ed i problemi della vita quotidiana: il costo della vita e delle case nelle città, la sicurezza e la delinquenza, la denatalità e l’invecchiamento della popolazione, i conti che non tornano ed il PNRR che viaggia a rilento, per non parlare della piaga delle dipendenze chimiche o digitali che affliggono anche le giovani generazioni.
E così, vince sempre la contrapposizione tra chi governa e chi no: sui referendum, o si vota Si o si vota NO, tertium non datur, come se l’astensione non fosse un diritto garantito; stesso dicasi su sicurezza e sanità, e che dire infine della questione casa, tra amministrazioni locali che fanno la guerra a turismo ed affitti brevi, come se quelli “non brevi” non fossero un problema, in una città come Firenze che oggi scopriamo essere la più cara d’Italia, superando Milano, e chi più ne ha più ne metta
Il compromesso e la mediazione sembrano categorie invise alla politica, forse perché richiedono un pensiero ed un linguaggio complesso al quale ci siamo disabituati.
E allora la domanda sorge spontanea: come facciamo a costruire i ponti, se mancano i Pontieri, o meglio ancora, se manca quella cultura di cui si nutrono i Pontieri fatta di comprensione, dialogo e sintesi in nome di un interesse supremo, il bene comune, tanto per fare un esempio semplice?
Iniziamo a mettere tutti gli occhiali del realismo e dell’oggettività senza pregiudiziali ideologiche, per guardare i problemi del nostro Paese e delle nostre città, iniziamo a pensare che in un mondo dove i colori contrastanti ed opposti sono più visibili, ci sono anche le sfumature; iniziamo a partire dai problemi, che sono sotto gli occhi di tutti, senza soluzioni che siano precostituite solo sul colore
Quale che sia il colore.
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