dpcm illegittimi
l governo sta agendo fuori dalle norme dello Stato democratico e sta dunque limitando le nostre libertà violando le leggi? Nel mirino delle polemiche sono finiti nuovamente i Dpcm partoriti dal premier Giuseppe Conte, che da marzo sta modificando le abitudini di vita degli italiani per tentare di limitare la diffusione del Coronavirus.
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Comunque c’è una sentenza “bomba” del Tribunale di Roma. Chiamato a esprimersi su un contenzioso in cui è finito un esercizio commerciale da sfrattare per morosità a causa del mancato pagamento canoni per la chiusura imposta dai divieti nell’ambito dell’emergenza Coronavirus. Il giudice è arrivato alla conclusione che i Dpcm “siano viziati da violazioni per difetto di motivazione” e “da molteplici profili di illegittimità“. Pertanto, in quanto tali, risultano essere “caducabili“. Ovvero non producono effetti reali e concreti dal punto di vista giurisprudenziale, sono da annullare. I decreti con cui è intervenuto il governo non sono “di natura normativa” ma hanno “natura amministrativa“. Quindi dovrebbero fare riferimento a una legge già esistente.
Le violazioni dei Dpcm illegittimi
Il tribunale civile di Roma cita “tutti i Presidenti Emeriti della Corte Costituzionale, Baldassarre, Marini, Cassese“. Inoltre viene spiegato che non vi è alcuna legge ordinaria “che attribuisce il potere al Consiglio dei ministri di dichiarare lo stato di emergenza per rischio sanitario“. Dunque i Dpcm sono incostituzionali? Si legge che “hanno imposto una rinnovazione della limitazione dei diritti di libertà“. Invece avrebbero richiesto “un ulteriore passaggio in Parlamento diverso” rispetto a quello che si è avuto per la conversione del decreto Io resto a casa e del Cura Italia. “Si tratta pertanto di provvedimenti contrastanti con gli articoli che vanno dal 13 al 22 della Costituzione e con la disciplina dell’art 77 Cost., come rilevato da autorevole dottrina costituzionale“, viene aggiunto.
La legge 241/1990, Art. 3
Per essere validi i Dpcm, come atti amministrativi, devono essere motivati ai sensi dell’articolo 3 della legge 241/1990. Alla base di ogni decisione è sempre stato citato il Comitato tecnico-scientifico, le cui analisi – spiega il giudice – sono state riservate per diverso tempo e sono state rese pubbliche solamente a ridosso delle scadenze dei Dpcm stessi: “Ritardo tale da non consentire l’attivazione di una tutela giurisdizionale“.
Il Dpcm resta un atto amministrativo che non può restringere le libertà fondamentali. Anche se a “legittimarlo” è un atto che invece ha forza di legge; la parte che non lo impugna diventa causa delle conseguenze negative sulla piena fruibilità dell’immobile. Insomma, il giudice condivide “l’autorevole dottrina costituzionale” secondo cui è contrario alla Costituzione prevedere norme che limitano i diritti fondamentali della persona mediante decreti della Presidenza del Consiglio dei ministri. Come riportato da Italia Oggi, il primo decreto legge che ha “legittimato” il Dpcm si limitava a contenere un’elencazione a titolo d’esempio e consentiva così l’adozione di atti innominati, non stabilendo però alcuna modalità di esercizio dei poteri.
Fonte: Luca Sablone ilgiornale.it
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