Hot Rod Custom Show: il paradiso del Custom è nel paese del Sol Levante

Hot Rod Custom Show è un salone motoristico molto sui generis, che si svolge la prima domenica del mese di dicembre a Yokohama, non lontano da Tokyo.

Se dalla Stazione di Shinjuku a Tokyo prendete la linea JR Shonan Shinjuku Line arrivate a Yokohama in soli 30 minuti.

L’anno scorso di quest’epoca ho fatto visita alla capitale giapponese, e mi sono trattenuto sino alla prima domenica di dicembre per l’appuntamento con l’Hot Rod Custom Show organizzato da Mooneyes.
Appena sceso dalla stazione sopraelevata di Yokohama mi sono subito trovato di fronte il futuristico parco di Yamashita, ritratto in molti anime e manga, ove è conservata, ormai quale museo la Hikawa Maru, nave a vela che dal 1930 al 1960 seguiva la rotta Seattle-Kobe; fu nave ospedale nella II GM e trasportò ebrei in fuga e, si favoleggia, anche Charlie Chaplin.

Sullo sfondo svettano la Marine Tower e la ruota panoramica che di notte si illuminano di mille calaidescopici colori.

Yokohama è una delle più grandi città del Giappone, con circa 3 milioni di abitanti, e il più grande porto del paese, ospita la più grande Chinatown, non solo del Giappone, ma di tutta l’Asia. e Minato Mirai, che letteralmente significa “il porto del futuro”pullulante di di uffici e di spazi residenziali, hotel, centri commerciali, ristoranti, centri congressi e parchi pubblici. Ivi sorge la Landmark Tower, alta 296 metri, che ospita l’osservatorio chiamato Sky Garden, con il terzo ascensore più veloce al mondo.

Al centro congressuale Pacifico situato dietro Minato Mirai si danno appuntamento all’Hot Rod Custom Show ogni anno oltre 20.000 appassionati di auto e moto americane customizzate, cioè modificate dal proprietario o da professionisti, per essere più veloci meccanicamente ed esteticamente evocare la passione della velocità.

L’alleggerimento e modifica di vetture e motocicli è una mania che in Usa viene da lontano: già prima del secondo conflitto armato, giovani poco più che adolescenti trasformavano mezzi già desueti in macchine da corsa, sfidandosi in epiche e clandestine gare improvvisate.

L’amore per hot road a quattro ruote, il nome dice tutto, e bobber a due, avrebbero poi spianato la strada alla cultura degli anni ’70 dei choppers (letteralmente “tagliati”) immortalati nel cult film “Easy Rider”, vero e proprio manifesto della cultura della piena contestazione di oltreoceano.

Tutti questi stili di modifiche trovano la loro sublimazione in questo salone nipponico, sia per auto che per moto. Anzi all’origine, nell’ormai lontano 1992, esso è proprio un’esposizione di hot road a quattro ruote, cui rimanda il nome storpiato del salone stesso.

Non stupisca questo amore giapponese per il motorismo a stelle e strisce: la stessa Harley-Davidson operò le prime esportazioni fuori dai confini nazionali proprio in Giappone addirittura sin dal 1912, soli tre anni dopo la creazione del primo bicilindrico, le prime Harley infatti erano monocilindriche.

Già negli anni ‘20 la Polizia giapponese era munita di veicoli Harley-Davidson prodotti in Usa; nel 1935 la crisi industriale americana impose alla casa di Milwaukee di delocalizzare la produzione delle moto destinate al mercato nipponico in loco, cedendo i disegni progettuali alla Società Sankyo che produsse la Rikuo (Re della Strada) con motore Flat Head su licenza fino ai tardi anni ’50.

L’Hot Rod Custom Show si svolge, quindi sin dal 1992, al Pacifico di Yokohama, ed è un’unione di show, swap meet (mercatino) di pezzi usati per veicoli d’epoca e fiera del settore.

Si svolge curiosamente in un solo giorno, la domenica, dalle 8 alle 17: si apre con il ride in, che vede i mezzi esposti fare il loro ingresso trionfale con i motori rombanti accesi fra le ali dei visitatori, 20.000 in media nelle ultime edizioni. Le autorità municipali di Yokohama non vedono molto di buon occhio questa piccola invasione, e quindi i visitatori ufficialmente sono sempre dichiarati nello stesso numero, calmierandoli in 15.000; 650 le show bikes, 250 le show cars, 300 stand 40 pinstripers decoratori, 500 i gaijin, gli stranieri, che arrivano da ogni parte del mondo, Usa, Europa, Asia e persino Australia.

Il giorno prima si svolge il Little get together party, festa di fine allestimento degli espositori, cui ho partecipato, con abbondante consumo di hamburger e birra dopo un giorno di fatica a costruire il proprio spazio ove far risaltare al meglio la propria creazione.

Spesso ospiti internazionali quali Cole Foster o Jeff Decker, affiancano i creatori locali primi tra tutti Cherry’s company.

L’anno scorso erano presenti tematiche specifiche incentrate sulla El Camino Chevrolet prodotta dal 1959 al 1987 ed il Taste of deuce con 85 anni della Ford T, di cui erano presenti 32 esemplari del 1932.

Per le due ruote vi era il Traditional Choppers, mostra sulle moto customizzate stile anni ’60 e ’70, con modelli autentici dell’epoca e realizzati adesso in maniera periodically correct.

Le ultime quattro edizioni sono caratterizzate dalla cosiddetta Shizukani, tranquillità, imposta dalle severe Autorità cittadine, con divieto di parcheggio dei mezzi, spesso non in regola con il codice della Strada, dei visitatori nei pressi dell’area congressuale: se si pensa che gran parte degli appassionati si mette in viaggio a bordo di auto e moto finemente modificate, si comprende come questa interdizione abbia di fatto privato gli astanti di una ulteriore mostra nella mostra.

Comunque l’atmosfera che si respira è frenetica ma magica: tra Panhead e Shovelhead Harley di produzione tra gli anni ’50 ed ’80, certosinamente cesellati e lucidati, incastonati in telai e serbatoi minimalisti e perfetti, con verniciature maniacali.  

I veicoli sono ovviamente nella maggior parte realizzati in Giappone, ma non mancano ospiti stranieri che portano qui le loro creazioni da ogni angolo del globo.

Completano la scena vendors di ogni oggetto legato alla cultura motoristica, compresi preziosi in oro o argento che replicano in miniatura motori, veicoli o parti di essi.

Ma chi è l’organizzatore di tale meraviglioso contest?

E’ un signore dal fare cortesissimo e semplice, Shige Suganuma, patron di Mooneyes.

Il marchio contraddistinto dal logo con gli occhietti nasce nello Speed Shop a Santa Fe Spring, a sud est di Los angeles, al 10820 di S Norwalk Bld.

Il fondatore, Dean Moon nel dopoguerra si dedica alla produzione di parti aftermarket per hot road e moto custom, di cui la richiesta è in continua ascesa; nel 1962 con il lievitare degli affari, da azienda familiare diventa Moon Equipment Company, creando il logo con occhietti.

Muore prematuramente nel 1987, e suo figlio, Dean Jr, non riesce a sostenere la sempre crescente concorrenza delle case giapponesi; decide di cedere il marchio e la società proprio ad un nipponico, Shige Suganuma appunto, che è il suo distributore locale per il Giappone.

Shige rileva l’azienda, preservandone rispettosamente le origini, e ponendo il suo amico Chico Kodama a custodire gli originali locali in California.

Ma il quartier generale di Mooneyes ora è nel nuovo spazio proprio a Yokohama, a Honmoku che era l’enclave Usa in città dal dopoguerra, data la presenza dei militari dello US Army fino al 1983.  

Oggi accanto al negozio pullulante di parti di ricambio e gadget, sorge anche un ristorante, ove il lunedì successivo allo Show del Pacifico si svolge un rituale barbecue.

Quest’anno l’Hot Rod Custom Show sarà alla sua 27sima edizione e si svolgerà domenica 2 dicembre. Sempre al Pacifico, sempre tutto in un giorno.

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