Giuseppe Rensi, il padre putativo di Mussolini

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Nessuno se lo ricorda, ma fu “il padre putativo del fascismo”. Giuseppe Rensi, filosofo sempre controcorrente, nacque il 31 maggio di 150 anni fa e morì ottant’anni fa. Ebbe un ruolo decisivo nella conversione di Mussolini dal socialismo al fascismo attraverso l’interventismo. E fu per un periodo breve ma decisivo, il filosofo che accompagnò cento anni fa la marcia del fascismo verso il potere.

Rensi era un esponente del socialismo rivoluzionario ma precorse la svolta nazionale di Mussolini. Esule in Svizzera, Rensi accolse il compagno Mussolini uscito dalle patrie galere, alla stazione di Bellinzona, un lunedì dell’Angelo del 1904. Lo stesso Mussolini raccontò ne La mia vita che Rensi lo aveva ospitato a casa sua e lo aveva difeso in veste di avvocato e compagno. Rensi precedette a sinistra la scoperta di Nietzsche a cui Mussolini dedicò un articolo-saggio decisivo nel 1908; e precorse la lettura nazionale e irrazionalista del pensatore rivoluzionario Georges Sorel. Precedette il futuro capo del fascismo nella svolta interventista. Ma Rensi, oltre che socialista, era massone (a Genova una loggia fu poi dedicata a lui); e la massoneria si schierò nettamente per la guerra contro gl’Imperi del Trono e dell’Altare.

Rensi e Mussolini

Già nel 1902 Rensi aveva scritto un saggio contro l’ancien régime per una democrazia diretta, plebiscitaria, cesarista. Poi scrisse nei Lineamenti di filosofia scettica che la guerra aveva mandato in frantumi “il borioso e tronfio sistema della ragione assoluta”. Sia Rensi che Mussolini lasciarono nel 1914 le loro riviste ancora in odore di socialismo, Coenobium e Utopia, per la svolta interventista e nazionalista. Dopo la guerra, fu Rensi a suggerire a Mussolini di lasciare l’ideologia di sinistra e il residuo mazzinianesimo e guardare a de Maistre, al Sillabo, ai grandi reazionari e ai ministri conservatori, prevedendo che il fascismo sarebbe diventato “la colonna basilare della Nuova Destra”. Rensi teorizzò anche l’uso della violenza per opporsi alla “violenza sovversiva”.

Il filosofo approdò al Popolo d’Italia, dove continuò a spiazzare tutti, elogiando la destra reazionaria, il realismo cattolico e machiavellico. Ma sull’organo del fascismo nascente, Rensi firmò anche un elogio di Lenin, “grande figura realistica”, “uomo del Rinascimento in piena epoca moderna”, auspicando che in Italia appaia qualcuno come lui. Il fascismo per Rensi era l’applicazione del pensiero rivoluzionario di Sorel ai ceti medi; è “il nuovo socialismo trent’anni dopo”; nazionale, cesarista e autoritario.

Mussolini si libera della provenienza socialista

È curioso che la sua Teoria e pratica della reazione sia da lui stesso ricondotta alla filosofia scettica. Ma lo scetticismo, a suo giudizio, può approdare a tre diversi esiti: anarchia, indifferenza e autoritarismo, verso cui andò Rensi, che poi dedicherà un saggio alla Filosofia dell’autorità. Nel contempo Mussolini si libera della provenienza socialista e definisce il fascismo come relativismo, pirandelliano, aperto a esiti diversi, abbracciando una tesi di Adriano Tilgher.

Il sostegno di Rensi al fascismo nella svolta a destra lo porterà a diventare l’ideologo della nuova rivista mussoliniana, Gerarchia. In quel tempo, Gentile non era ancora approdato al fascismo, Croce osservava con simpatia il movimento mussoliniano, senza però aderirvi. In quella fase fu Rensi il filosofo del fascismo, dalla guerra alla marcia su Roma e alla nascita del regime autoritario, dopo la “controrivoluzione preventiva” rispetto al social-comunismo. Il paradosso è che Rensi legittima il fascismo “da destra” e non da sinistra, come ci sarebbe da aspettarsi da un ex-socialista.

Rensi fu sempre “inattuale”, si oppose sempre a chiunque trionfasse; appena il fascismo diventò popolo e potere, lui se ne allontanò. Fu sempre “dalla parte dei vinti, non dei vincitori” scrisse in Filosofia dell’Assurdo. Sicché quando il fascismo realizzò la linea autoritaria che egli stesso aveva teorizzato, Rensi – con un atto di magnifica incoerenza – ruppe col regime.

Gentile

Man mano che Mussolini rinsaldava il suo potere, Rensi se ne allontanava, come era la sua indole di oppositore permanente. Molto contò nel suo dissenso la sua critica dell’idealismo e la polemica con l’egemonia culturale di Gentile. Vanamente Rensi gli oppose la via italiana allo scetticismo, da Cicerone a Machiavelli e Guicciardini, da Leopardi a Ferrari, e accusò l’attualismo gentiliano di essere “antifascista”. Ma ormai il fascismo si era legato a Gentile, alla sua riforma scolastica e al suo prestigio di filosofo e imprenditore culturale.

La definitiva scomunica ufficiale a Rensi giunse nel ’26 dal Popolo d’Italia, a firma dello stesso Gentile: “Filosofo allegro che insegna a Genova, e salta e balla e fa sberleffi innanzi al pubblico, dimostrando oggi la verità, domani la falsità di ogni filosofia”. Nel ’27 gli fu sospesa la cattedra a Genova per le sue posizioni antifasciste e massoniche; poi fu arrestato e fatto scarcerare da Mussolini; poi nuovamente arrestato con la moglie e liberato grazie a un falso necrologio che annunciava la sua morte; Mussolini si ricordò di lui e lo fece nuovamente liberare. E quando morì davvero, nel 1941, Mussolini disse ai gerarchi che gli erano intorno: “Uomini così avrei dovuto avere con me”.

Rensi è oggi ricordato, da pochi, come filosofo leopardiano, scettico, ateo e irrazionalista, “scoperto” nei decenni scorsi da pensatori cattolici come Michele F. Sciacca, Augusto del Noce e Gianfranco Morra (morto l’altro giorno); ora è pubblicato da Adelphi. A Rensi dedicai un capitolo de La Rivoluzione conservatrice in Italia (1994) e poi un ritratto in Imperdonabili. Fu un donchisciotte del pensiero, sempre dalla parte del torto e dei vinti.

La definizione di Rensi come “padre putativo del fascismo” è dello storico Corrado Barbagallo, nel 1924 in Passato e presente. Se d’Annunzio fu definito “il San Giovanni Battista del fascismo”, Rensi fu dunque “il san Giuseppe” di Mussolini…

MV, La Verità

 

 

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